Capitolo 4 - Documenti rubati.

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Di nuovo domenica, stavolta mattina. È passata appena una settimana da quando per la prima volta siamo saliti in soffitta e tutto questo è iniziato. E ora, chi l'avrebbe mai immaginato, siamo in macchina diretti verso un manicomio con un nome discutibile, abbandonato da chissà quanti anni, con lo scopo di saperne di più su una misteriosa cassetta paranormale, una fotografia rinvenuta nella suddetta soffitta e un ancora più misterioso paziente 507 che ha tutta l'aria di essere un mio parente.

È una mattina straordinariamente limpida, vista la nebbia dei giorni passati, probabilmente grazie al vento gelido di ieri notte. Il sole splende indisturbato, cercando di far alzare di qualche grado la temperatura e la pianura scorre tutta uguale a se stessa fuori dai finestrini. Alessio è alla guida, affiancato da Riccardo che gli indica la strada con il navigatore del cellulare. Erika e Luca parlano di non so cosa mentre io mi distraggo come al solito. Alla radio i presentatori ridono di qualche stronzata appena detta per risollevare il morale di chi, come noi, si è svegliato all'alba per uscire di casa. L'atmosfera, tutto sommato, è tranquilla, forse troppo considerando il fatto che stiamo andando in un postaccio.

La statale lascia spazio ad una stradina piena di buche che come tante altre stradine piene di buche porta in un posto abbandonato da tempo. Tipico degli esseri umani riempire la natura di schifezze e poi dimenticarsene da un giorno all'altro, quando smettono di avere un'utilità.

La guida di Alessio si fa più cauta, mentre procediamo tra i cipressi che una volta dovevano essere allineati perfettamente, tutti uguali tra loro ma che in mancanza di attenzione umana stanno finalmente riuscendo a prendere la forma che vogliono. La struttura compare dietro l'angolo poco dopo.

Si tratta di un immenso edificio in cemento, ormai coperto dai rampicanti. Esattamente come me lo immaginavo, anche se speravo fosse più piccolo; non sarà affatto facile trovare qualche indizio lì dentro. Molte delle finestre hanno i vetri rotti, probabilmente a causa di qualche ragazzino che per sembrare impavido agli occhi dei suoi amici ha deciso bene di entrare lì dentro. Spero per lui che ne sia anche uscito vivo, non voglio trovare cadaveri.

Parcheggiamo tra gli alberi, poco lontani, di modo che la macchina sia invisibile ad eventuali altri visitatori che si avvicinano alla struttura. Anche se qualcosa mi dice che saremo più che soli. Il portone è semiaperto, soltanto alcune assi di legno bloccano l'accesso all'interno. Non serve toglierle, dato che la finestra a pochi metri da noi è rotta.

Dal momento che io ho già dato prova del mio coraggio avventurandomi in soffitta da sola, non sta certo a me entrare per prima. È Riccardo ad assumersi il gravoso compito, lasciando per un attimo lo zaino nelle mie mani mentre scavalca il davanzale e si ritrova dall'altra parte. Subito comincia a guardarsi in giro, senza però fare commenti, lasciandoci il gusto della sorpresa. Mi faccio avanti, passandogli la borsa e seguendo il suo esempio.

Una volta atterrata sul pavimento dopo un salto di addirittura settanta centimetri, mi prendo il lusso di guardarmi intorno. L'entrata è abbastanza spoglia, polverosa almeno quanto la mia soffitta, piena di cartacce e graffiti. Tipico di un posto abbandonato. In un angolo, appoggiata al muro, c'è una vecchia sedia di legno a cui manca una gamba, poco lontano quella che ha tutta l'aria di essere stata una scrivania. Niente di particolarmente inquietante insomma.

Dal momento che siamo qui per cercare informazioni non aspetto nemmeno di vedere gli altri arrivare e mi dirigo verso di essa, cominciando ad aprire i cassetti cercando di non fare troppo rumore. Prima troviamo qualcosa prima possiamo andarcene, stesso principio della soffitta.

Posso quasi sentire le maledizioni che Riccardo mi sta rivolgendo nella sua testa mentre gli infilo nello zaino tutto quello che ho trovato, ovvero probabilmente un mucchio di scartoffie inutili ma che comunque ci prenderemo il lusso di rubare, tanto sicuramente qui non servono più a nessuno. Vedo le espressioni confuse degli altri tre che mentre rovistavo sono riusciti ad entrare e non so perché me ne compiaccio.

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