8. Mio padre mi insegnò a nuotare

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Era lì che avevo imparato a nuotare.

Le sponde del torrente erano alte, per evitare danni durante le consuete inondazioni di maggio. L'acqua scorreva impetuosa nei mesi di piena e a volte arrivava a coprire del tutto la spiaggetta che da metà estate diventava il ritrovo per la gioventù del paese. Si incontravano con una cassa di birra e qualche chilo di carne che giravano sul falò improvvisando una grigliata. Io ero troppo piccolo per unirmi a loro e così passavo il tempo a giocare con gli altri bambini.

Mi divertivo così tanto che rincasavo tardi e stanco, senza le forze per fare i compiti. Io non li capivo tutti quei compiti: non bastava il fatto che passassi quattro ore al giorno a scuola ad ascoltare la maestra? Perché dovevo portarmi anche il lavoro a casa?

Era così che avevo imparato a nuotare.

La prima volta che la maestra chiamò i miei genitori andò mia mamma. Io rimasi per tutto il tempo accanto al torrente guardando i mulinelli formarsi e dissolversi nella corrente. Una grossa quercia mi faceva ombra mentre i salici, più vicini all'acqua, immergevano quasi i loro rami.
Quando mia madre tornò a casa mio padre si arrabbiò, ma non tirò fuori la cintura. Andò a dormire e io credetti, ingenuamente, che fosse tutto finito.

Lo rividi il giorno dopo mentre giocavo con i miei amici. Quando lo videro venire verso di noi, i pugni stretti dalla rabbia, corsero via. Begli amici.

"Quindi è per questo che non fai i compiti? Io ti sfamo, hai un tetto sopra la testa e vestiti puliti; l'unica cosa che ti chiedo è di portare a casa bei voti e tu che fai? Passi il tempo a giocare con i tuoi amichetti che, tra l'altro, a scuola non hanno nessun problema!"

Mi afferrò per la maglietta e mi scagliò con forza nel torrente. Se ne andò mentre io urlavo in cerca di aiuto.

L'acqua era fredda, gelida, e mi feriva gli arti. Era febbraio e nessuno sano di mente si sarebbe buttato nel torrente. Dopo qualche minuto una gamba sfiorò il terreno. Mi ci aggrappai e in qualche modo riuscii a raggiungere la riva.

Non mi trovavo sulla spiaggetta, ma ero andato un po' più a valle e mi aggrappai ad uno dei massi che spuntavano dall'acqua trascinandomi all'asciutto. I sassi appuntiti ferivano le mani e le altre parti del corpo scoperte, ma non ci feci caso. Ero vivo. Dopo aver respirato sollevato per un po', la rabbia si impossessò di me. Quell'uomo mi aveva scagliato nel torrente! Aveva provato ad uccidermi!

Quando fui abbastanza calmo rientrai a casa. L'ora di cena era appena passata e quindi andai a dormire. Nessuno osò parlarmi.

La seconda volta che mi buttò nel torrente fui più fortunato. Mi aggrappai ad un ramo di salice. Tornai a casa subito, in tempo per la cena. Cominciavo a farci l'abitudine.

La terza volta era maggio. Il torrente era in piena e lui mi scagliò esattamente al centro. La corrente quella volta mi portò molto lontano e non c'erano rami a cui attaccarsi. L'acqua non era cristallina come al solito. Era scura, del colore del fango, e mi ricordava qualcosa di arcaico che la mia mente da bambino non poteva capire. Mi ricordava la morte, ma io volevo vivere.

E fu così che le mie braccia smisero di colpire l'acqua disordinatamente nel vano tentativo di rimanere a galla ma cominciarono a muoversi al di sotto di essa, in movimenti fluidi e coordinati alle gambe. Non appena capii come nuotare un mulinello mi trascinò sott'acqua. Il panico si impossessò di me tre o quattro volte prima che riuscissi a trascinarmi esausto sulla riva. Peccato che era quella opposta. Camminai a lungo prima di raggiungere un ponte e poter finalmente tornare a casa.

Per tutto il tragitto osservai le onde. Non mi facevano più tanta paura. Non mi richiamavano ancora, era troppo presto e io troppo traumatizzato, ma in quel momento intuii che era nato un legame che mi avrebbe portato lontano dal mio adorato torrente.

Poche settimane dopo portai a casa le pagelle. Inutile raccontare la reazione di mio padre.

Questa volta, però, quando mi afferrò, lo guardai freddamente negli occhi e biascicai: "È inutile che mi butti là dentro, ormai ho imparato a nuotare."

Smise di buttarmi nel torrente e tornò alla cintura. Forse sarebbe stato meglio stare zitto quella volta.
Io tornai al mio torrente e iniziai a nuotare. Prima solo quando l'acqua era calma e poi anche nei mesi di piena. Crescendo mi unii alle grigliate sulla spiaggetta, sfruttando ogni buona occasione per buttarmi tra le onde.
Ora, i giornali e i commentatori sportivi definiscono la mia tecnica "selvaggia e istintiva". Dopo avervi raccontato tutto questo credo che non ci sia bisogno di altre spiegazioni.

Intervista a Felipe Bauman, medaglia d'oro dei giochi olimpici di Dubai, duecento e quattrocento metri stile libero.

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Felipe Bauman è un prodotto della mia fantasia e non ha a che vedere con una persona reale.

A Dubai non ci sono mai state Olimpiadi, ma la città ha sostenuto una candidatura per il 2020 (poi ritirata). Ho scelto Dubai proprio per evitare di citare Olimpiadi del passato e quindi un involontario collegamento con i veri vincitori.

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