16. Danzando col diavolo

98 7 2
                                    


"Mamma, ho un problema!" urlò la ragazza dalla sua stanza. La sua voce risuonò per i corridoi vuoti, rimbombò tra le pareti bianche e giunse fino al soggiorno dove Alexis stava sorseggiando un bicchiere di vino rosso osservando le fiamme nel camino.

Si alzò lentamente e posò il bicchiere su un tavolo prima di avviarsi verso la figlia. Si appoggiò allo stipite della camera e la osservò che si dimenava ancora nuda, alla ricerca di un vestito da indossare.

"Quale problema?" chiese con la sua voce profonda e femminile.

"Non so cosa mettermi stasera..." era sull'orlo delle lacrime.

"Innanzitutto un paio di mutande."

"Sì, ma quali? Dipende dal colore del vestito e..."

"Non ti ho mai vista indecisa su qualcosa del genere..."

"Stasera esco con un ragazzo... Lui è diverso dagli altri, e ci tenevo a fare bella impressione e..."

"Ho capito, vieni con me... Ma prima mettiti addosso qualcosa," sentenziò. "Verde," aggiunse quando la ragazza aprì la bocca per parlare. "Tuo fratello è uscito, ma non mi sembra il caso di girare nuda per casa..."

"Eccolo..." disse tirando fuori uno dei suoi vestiti. Lo accarezzò dolcemente prima di consegnarlo alla figlia. "Lo avevo messo per il primo concerto che ho fatto, subito dopo che tuo padre mi aveva salvata..."

"Mamma..."

"Ora vai, o farai tardi," la spronò. La figlia la guardò a lungo, indecisa se accettare tale favore, ma alla fine afferrò con cura il vestito e corse via urlando un ringraziamento.

Alexis tornò alla sua amata poltrona a guardare le fiamme. I suoi figli non erano in casa, e lei non aveva nessun lavoro da sbrigare. Erano proprio le sere come quelle che risvegliavano i suoi ricordi...

Le fiamme cominciarono a mostrarle il passato, e prima che questo prendesse il sopravvento si alzò per riempire di nuovo il bicchiere. Tornò di nuovo al suo posto, come se non potesse fare altro, come se fosse semplicemente il suo destino, ricordare all'infinito.

Aveva quattordici anni quando iniziò a cantare. Era una bella ragazza, con i ricci perfetti della permanente e una gonna corta che le fasciava i fianchi.

Aveva fatto carriera in fretta e a diciassette anni era conosciuta in tutta la nazione. Era richiesta in ogni parte di essa, e tutti cantavano con lei, a prescindere da credo politico o religioso. Erano anni che sembravano felici, ma nulla può durare.

Scoppiò la guerra. Niente concerti per un po', aveva pensato ingenuamente. Peccato che finì per cantare, tutte le sere, per il nemico.

Non si ricordava molto di quel periodo, né di come fosse finita nelle loro grinfie. Ricordava soltanto il sapore strano del cibo, e le facce spaventose tra il suo pubblico. Non poteva parlare con nessuno, eccetto il suo protettore. Era un cantante anche lui.

Continuò così a lungo, mentre la guerra infuriava. Stava iniziando ad abituarsi anche a quello. Poi, un giorno, tutto cambiò di nuovo.

Era ancora presto, ma già cominciava a desiderare il suo letto. Passava troppo tempo a dormire, forse perché era l'unico modo per scappare da quella realtà. Cominciò a cantare quella che pochi mesi prima era la sua canzone preferita quando qualcuno aprì la porta violentemente. Nel locale entrò un uomo, alto e ben piazzato, vestito con i colori militari anche se non portava nessuno stemma. Non sembrava facesse parte di un esercito, non uno regolare almeno.

Smise di cantare e lo fissò ipnotizzata. I suoi occhi grigi la osservavano come se la conoscessero da sempre, con tenerezza e comprensione. Allungò una mano verso di lei.

RaccontiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora