Capitolo due

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"Michael! Michael! Mika, svegliati!"
I sogni di ghiaccio del ragazzo riccio furono interrotti dalla voce squillante della madre che gli chiedeva, in modo non molto gentile, di alzarsi dal letto.
Sbuffò sonoramente, coprendosi la testa col cuscino con la speranza di placare quelle urla irritanti.
« Ma è possibile che sono quasi le undici e tu continui a dormire come un ghiro?» gli chiese con un ghigno sul volto il fratello, che, sul lettino di fronte continuava ad armeggiare distrattamente il cellulare.
'Se sapessi quello che realmente faccio di notte, mentre tu dormi come un
angelo' penso Michael mentalmente, ma non fu quello che disse realmente.
« Sei l'unico con un umore quasi decente il lunedì mattina! » scherzò Mika, lanciando un cuscino al fratello che rispose con una cuscinata di rimando.
Decise poi di alzarsi notando la tarda ora e avvertendo una leggera voglia di mangiare alla bocca dello stomaco.
Indossò la sua felpa preferita grigia, che gli aveva regalato sua sorella Yasmine al suo ventesimo compleanno, e decise di lasciare i boxer, per poi scendere le scale.
Una volta trovatosi in cucina, un inebriante profumo di cornetto caldo che sembrava appena uscito dal forno gli invase le narici.
Si sedette sullo sgabello , sotto lo sguardo truce di sua madre che, con degli occhiali sul naso era intenta a leggere un giornale.
Fece come per addentare il cornetto ma la voce della donna lo interruppe.
« Tra dieci minuti passa a prenderti Christine, non vorrai mica uscire in boxer » disse semplicemente, senza staccare gli occhi dall'articolo che stava leggendo.
Mika sbuffò sonoramente senza degnarla di una risposta e lasciò cadere il cornetto sul tavolo. Tutta la fame che aveva precedentemente gli era improvvisamente sparita.

« Cosa c'è Mika? Ti vedo pensieroso oggi » disse Christine, volgendo poi lo sguardo al ragazzo moro al suo fianco.
« Non ho semplicemente dormito bene » sbottò Mika, facendo sussultare la ragazza.
Christine era la sua 'fidanzata' da circa tre anni, o, almeno, lui pensava lo fosse.
Sua madre la amava totalmente, così come le sue sorelle e il suo fratellino. Il padre le aveva parlato a malapena due volte a causa delle sue numerevoli assenze per lavoro.
Lui la amava, o almeno questo gli avevano costretto a pensare. Ma da due settimane a quella parte, non avvertiva più la classica fiducia che deve normalmente esserci in una coppia. Quando Christine lo toccava, non avvertiva quei classici brividi dell'amore o le classiche farfalle nello stomaco che sempre aveva letto nei libri ma che mai, nella vita, aveva avuto la fortuna di provare sulla sua pelle.
Semplicemente non si sentiva più attratto da lei o, forse, non lo era mai stato.
Non a caso, nelle ultime settimane, che erano già state complicate a causa dei numerosi incubi, non faceva altro che pensare a un modo carino per lasciarla.
Si sentiva maledettamente preso in giro da quella relazione, lui avrebbe voluto amare sul serio.
E non gli importava se la sua famiglia non avrebbe accettato la sua scelta. Lui avrebbe dato retta la suo cuore e quest'ultimo gli suggeriva di starsene lontano da quella ragazza.
« Sei strano ultimamente, non ti riconosco quasi più » sussurrò lei quasi come per non farsi sentire.
Mika però capì ma non rispose, e continuò a fissare il terreno, con la speranza di mettere fine a quell'imbarazzante conversazione.
Si diressero silenziosamente dal gelataio. Mika camminava a destra, Christine a sinistra. Normale gente esterna alle loro vite li avrebbe presi per comuni estranei eppure erano una coppia. Mika rise quasi al sol pensarlo.
Attraversarono la strada quando all'improvviso Michael fu colpito da urla provenienti da un gruppo di ragazzi alle loro spalle. Spaventato corse verso di loro e trovò raccapricciante la scena davanti ai suoi occhi.
Un ragazzo, coperto di graffi e lividi dalla testa ai piedi e con un ginocchio scoperto dai pantaloncini sanguinante, cercava di fuggire via da due ragazzi che dalla statura parevano molto più grandi.
Mika li guardò attentamente ma non riuscì bene visto che erano girati di spalle. Quando il suo sguardo cadde sulla schiena di uno dei due un brivido lo scosse e mentalmente diede la colpa al venticello invernale che gli stava scompigliando i capelli ricci. Ma in cuor suo sapeva che la colpa non era dell'aria mattutina di quel giorno.
« Michael cosa fai lì impalato? Il gelataio chiude tra poco! » sentì la voce di Christine ovattata alla sue spalle che, mai come quel momento, gli parve incredibilmente irritante.
La ignorò e si diresse verso quel gruppo di bastardi con l'intento di salvare la pelle a quel ragazzino.
Non poté che immedesimarsi in lui. Anche Mika da piccolo era stato vittima di bullismo a causa della sua dislessia. I compagni e i professori non facevano altro che deriderlo, considerandolo un buon a nulla che non sarebbe riuscito a concludere nulla nella vita. Lo insultavano per i suoi vestiti bizzarri, quasi da adulto. Eppure al Mika piccolino era sempre piaciuto distinguersi dalla gente, sentirsi diverso e un pochino speciale e di certo non sarebbe cambiato per degli stupidi pregiudizi. Era stato un bimbo intelligente fin da piccolo, pareva avesse due menti parallele.
Scosse la testa come per rimuovere quei dolorosi ricordi di infanzia e non si accorse quasi di essere davanti a quella scena ripugnante.
Si rimboccò le maniche e sferrò un pugno sulla nuca a uno dei due bulli, che cadde a terra improvvisamente.
Si voltò come per far alzare il ragazzo dolorante da terra ma non si accorse di una presenza alle sue spalle.
Si voltò, d'istinto, come spinto da una forza e un bisogno ignoto. Si maledisse mentalmente però una volta vista la figura slanciata davanti ai suoi occhi. Non avrebbe dovuto voltarsi.
« Ma guarda guarda chi si rivede, non sei cambiato una virgola, piccolo » disse la figura in piedi davanti al suo volto improvvisamente bianco.
Sentì i suoi occhi farsi maledettamente lucidi, le gambe che quasi perdevano il contatto con l'asfalto farsi incredibilmente leggere e il cuore battere insistentemente contro la gabbia toracica, fino quasi a far male.
Fissò i due occhi davanti a lui che lo scrutavano senza sosta per istanti che gli parvero interminabili ore. Due occhi.
Due occhi azzurri che per dieci lunghi anni non avevano mai smesso di popolare i suoi incubi. Quegli occhi che parevano spogliarlo di ogni veste e di fronte ai quali si sentiva incredibilmente nudo.
Due occhi azzurro mare, azzurro cielo. Ma un cielo non limpido, quel colore che assume dopo essere stato costellato di fulmini. Un cielo senza stelle, che non conosceva luce.
E così il ragazzo davanti ai suoi occhi, che luce non conosceva. Viveva costantemente nell'oscurità.

Andreas Dermanis.

Nightmares. || MIKADove le storie prendono vita. Scoprilo ora