6. La Strada Per La Libertà

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La Strada per la Libertà

                                  circa un'ora dopo La Fuga


Riprendere il controllo di me stesso e della mia vita sconvolse ogni singolo atomo del mio corpo.

Mi sentivo... non saprei come descriverlo. Sinestesie di emozioni scorrevano al posto del sangue e premevano sulla pelle come se dovessi esplodere.

Ero elettrizzato, felice, preoccupato, eccitato, spaventato...

Non riuscivo a seguire chiaramente il flusso dei miei pensieri, perché se ora immaginavo come sarebbe stato riabbracciare la mia mamma, un attimo dopo piangevo rimproverandomi di non essere scappato prima e di averla fatta preoccupare così tanto. Rievocavo uno dopo l'altro quelle ore in cui lui si era impossessato del mio corpo, usandolo come un oggetto, ma anche i fugaci istanti in cui involontariamente ero attratto da lui.

Decisi di accendere la radio, ispezionando le frequenze alla ricerca di qualcosa di rilassante. Incappai in un canale giornalistico. "...stanno ancora cercando il ragazzo scomparso sei settimane fa; gli annunci resteranno aperti e le fotografie circoleranno ancora per diverso tempo. I genitori hanno aumentato ancora il premio per..."

Non riuscii ad ascoltare altro.

Premetti di colpo sul freno quando con la coda dell'occhio vidi una cabina telefonica.

Inserii i soldi nella bocchetta e composi il numero. Una donna, con la voce spezzata, rispose.

«Pronto?»

Sentire la sua voce mi scaldò il corpo fino a farmi bruciare la pelle. Avevo le lacrime agli occhi. «Ciao mamma».

Il suo respiro, che ascoltavo dalla cornetta del telefono, si fermò di colpo. Dopo qualche istante mi domandai se stesse bene. «Mamma?»

«Che scherzo di poco gusto è questo?» mormorò con tono sprezzante. Stava piangendo. Mi si spezzò il cuore a sentirla così.

«Mamma, sono io, sono nato il ventitré agosto del mille novecento novantaquattro; ho una cicatrice sul ginocchio sinistro e un'altra sul polpaccio; a quattro anni mi sono arrampicato sull'armadio facendoti venire un infarto per la paura e nell'angolo in fondo al corridoio hai una foto di quando mi ero addormentato dentro un cassetto del mobile degli asciugamani».

«Dimmi che non sto sognando...» Era come risvegliare qualcuno da un incubo. Un incubo durato così a lungo da essersi sostituito alla realtà. Non riuscii più a trattenermi. Piangevo anche io.

«Mamma... sono io».

«Oh, tesoro; dimmi che stai bene. Dove ti trovi? Ti hanno fatto del male? Ti tengono in ostaggio? Tesoro devi chiamare la polizia! Giulia! Giulia corri! Tuo fratello è al telefono! Tesoro dove sei? Come hai fatto a chiamare? Dove sei stato? Giulia fa' presto!»

«Mamma stai...» adesso mi stava scappando da ridere. «Mamma calmati e stai un attimo zitta; non posso risponderti se continui a farmi domande».

«Ma se ti scoprono? Tesoro torna a casa. Giulia! La polizia, Giulia! Chiama la polizia!»

«No mamma; fermati un attimo!» strillai. Lei rimase in silenzio. «Io sto bene, ma non so ancora di preciso dove mi trovo».

«Oddio tesoro...»

«No mamma, calmati. Sto bene e nessuno mi sta seguendo per farmi del male. È tutto okay». Non riuscivo a trovare le parole giuste per spiegarmi. «Tu devi... Mamma, fidati di me; andrà tutto bene e tornerò a casa presto, d'accordo? Chiamerò io la polizia quando sarò arrivato».

«Cosa stai dicendo amore?» aveva di nuovo la voce spezzata.

«Mamma, ti spiegherò tutto; devi fidarti di me, puoi farlo?»

«Ce-certo; ma promettimi che tornerai a casa».

«Te lo prometto mamma, tra poco sarò di nuovo a casa; però lascia chiamare me la polizia, lo farò io al momento giusto».

«Va bene tesoro».

«Ora devo andare mamma». Devo tornare da lui...

«No tesoro aspet...»

Riattaccai. Altrimenti sapevo che quella chiamata sarebbe durata molto a lungo, ed io non sarei riuscito a fare quello che desideravo fare.

Tornai sull'auto e munito di una nuova determinazione ripercorsi la strada verso quella che era stata la mia prigione per ben sei settimane.

Innamorato di te che mi hai rapitoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora