Capitolo 1

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«La più grande paura di uno scrittore è quella di essere banale. » disse Mia giocherellando coi miei capelli.

Stavamo lì, sedute sotto un albero, l'ombra delle foglie sul suo viso la rendevano ancora più misteriosa, la vedevo quasi fragile dietro quelle parole. parlava a sussurri, come le era solito fare.

«Tu cosa ne pensi della banalità? Cos'è per te?» Con Mia le parole mi uscivano dalla bocca senza filtri, non riuscivo a nasconderle niente, perché sapevo che lei aveva sempre le giuste parole, e non è da tutti.

«La banalità è la malattia di cui si ammalano le persone vuote, quelle che hanno bisogno di sicurezza e stabilità. Cosa c'è di più sicuro di una cosa già approvata? » Aveva ragione. Come al solito, e forse era per questo che i professori mi avevano sempre additata come una ragazza banale e poco originale. Ero davvero una persona vuota? Malata? Bisognosa di sicurezza e stabilità? era davvero così che mi vedeva Mia?

Parve leggermi nel pensiero e riprese a parlare «Ma la banalità può essere determinata anche dalla personalità. Mica tutti hanno il dono delle parole, è difficile trasmettere qualcosa alle persone, e tante volte è difficile anche trovare lettori disposti a capire le tue parole. » Non trovai confortanti queste parole e se ne accorse. «Ma in fondo anche i più grandi scrittori hanno periodi no. » Mi feci rassicurare da quelle parole di incoraggiamento, magari era così, magari avevo solo un blocco creativo, mi aggrappavo a quell'improbabile possibilità. Infondo, da piccola mi dicevano sempre che avevo uno spiccato lato artistico e che ero una bambina molto fantasiosa, non potevo essere cambiata così tanto...

Si fece buio, quindi tornammo a casa, prima però passammo come al solito in pescheria a salutare mio zio Alberto. A Mia non è mai piaciuto incontrare i miei parenti e dover sfoggiare quelli che lei definisce "sorrisi sorryno" diceva che l'affetto per i parenti è la cosa più forzata che esista, ma io tendevo a ribadire che ai miei parenti ero davvero legata, inoltre mio zio era gravemente malato e volevo stargli accanto nei suoi ultimi mesi di vita. Anche se forse avrei potuto prestargli più attenzioni anche prima della sua malattia.

Un po' mi dispiaceva che Mia fosse così poco legata alla sua famiglia, non che una madre che abbandona la figlia debba avere il suo affetto; ma suo padre le è sempre stato accanto, ed ha una meravigliosa sorellina che l'ha sempre presa come esempio. Ma come ho già spiegato, non è mai stata mia intenzione cambiarla e quindi non le ho mai detto nulla.

Arrivammo a casa, preparai un toast per entrambe, lo mangiammo guardando un film che si rivelò essere noioso e stupido, la classica storia dei due innamorati che non hanno il consenso della famiglia quindi scappano poi uno si ammala di cancro e muore.

«L'originalità non manca mai » Ironizzò Mia. Annuì bevendo un lungo sorso di acqua. Guardai l'orologio. Mezzanotte.

«è tardi vado a dormire, tu che fai? Dormi qua?» annuì. Andai a prepararle il letto nella stanza degli ospiti, lei intanto mise i bicchieri in lavastoviglie. Le prestai un libro e poi mi chiusi nella mia stanza, quella sera non avevo neanche le forze di aprire un libro quindi spensi la luce e mi addormentai praticamente subito. Quella notte sognai celi: celi blu, viola, bianchi e rosa. Sognai di poter vivere senza pressioni o paure. Sognai la libertà, quella che per ora era lontana, 'ma le cose cambieranno' dicevo. 'Un giorno riuscirò a dimostrare a tutti che posso prendere in mano la mia vita e farne quello che voglio. il giudizio degli altri non mi fermerà.'

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