Capitolo 2

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Trascino i miei bagagli all'interno della nuova casa e i miei genitori chiudono la porta alle mie spalle. Mia madre, Marie Anne, mi indica il piano superiore:

"La tua camera è l'ultima in fondo al corridoio" mi sorride. Porto le mie valigie di sopra e le lascio accanto allo stipite della porta della mia nuova stanza. Mi distendo sul letto che si trova in un angolo della stanza e prendo in mano il mio cellulare. Calcolo mentalmente che ore sono a Parigi e, accertatami che non avrei svegliato la mia amica nel cuore della notte, accendo Skype e la chiamo. Mi risponde dopo pochi squilli, attivando a sua volta la videochiamata.

"Elise! Dio, già mi manchi" la vedo dire, con le lacrime agli occhi.

"Mi manchi anche tu, non sai quanto... qui sono le undici di sera e domani dovrò aiutare i miei coi traslochi, sai che palle" dico, cercando di strapparle un sorriso "pensa che, in un certo senso, ti sto chiamando dal futuro. Non è incredibile solo pensarci? Sto vivendo dieci ore in avanti rispetto a te. ho già cenato e sto per andare a dormire. Tu, invece, hai appena finito di pranzare e hai ancora tutta la giornata davanti" la sento ridere fievolmente, come una risata stanca.

"Ti ricordi quando, in prima media, a geografia, non avevo capito come funzionassero i fusi orari? L'insegnante non sapeva spiegare e nessuno capiva gli argomenti. Ti sei alzata nel bel mezzo della lezione, sei andata davanti alla cartina e hai spiegato ogni cosa alla perfezione. La prof non ti ha mandata dalla preside solo perchè si era resa conto che eri riuscita a farci capire ciò che lei, da settimane, spiegava e rispiegava invano. Ti sei guadagnata l'ammirazione della classe, con quel gesto. E prima mi è sembrato di sentir parlare l'Elise di sei anni fa, con i capelli raccolti in una treccia e l'espressione tranquilla e rilassata. Se ne avessi l'opportunità, tornerei indietro. Riviverei tutti i nostri momenti assieme, dall'asilo al liceo. Ogni singolo attimo" dice tutto d'un fiato, mentre pian piano le lacrime percorrono i nostri volti.

"Se potessi tornare indietro io, invece, impedirei il trasferimento. Purtroppo però è troppo tardi. Dobbiamo solo accettare che d'ora in poi sarà così. Non andremo assieme al cinema, non passeremo i weekend in montagna, d'inverno, non faremo quelle lunghe camminate in riva alla Senna che amavamo tanto fare. Ma ti prometto che ti chiamerò in ogni momento libero, e durante le vacanze verremo a Parigi. So che non è lo stesso, dobbiamo solo farci l'abitudine" appoggio la mano sullo schermo, come se potessi appoggiargliela sulla spalla e confortarla.

"E' comunque qualcosa, anche se non è nulla in confronto a come stavano le cose prima. L'importante è che resteremo sempre l'una per l'altra, che non ci separeremo ulteriormente. Promettimelo, ti prego" mi sussurra, con la voce spezzata e rauca.

"Te lo prometto, Eleonore" le sorrido teneramente, come avrei fatto se fossi stata accanto a lei, e chiudo la chiamata. E nonostante sia abbastanza di buon umore, non riesco a chiudere occhio.


La sveglia suona alle sette del mio primo lunedì a Sidney. Scendo malvolentieri al piano di sotto, dove i miei stanno preparando la colazione.

"Ti ho preparato delle crepes" annuncia allegro mio padre, Joseph "per rallegrarti un po'" continua. Lo ringrazio e mi siedo a mangiare. Appena mi accorgo che come al solito sto facendo tardi risalgo le scale. Prendo dall'armadio una felpa grigia. Adoro indossare felpe di un colore che si avvicina a quello dei miei occhi. Prendo dei jeans neri e vado in bagno a vestirmi. La prima cosa che noto nel mio riflesso allo specchio, sono le occhiaie profonde, splendida concessione regalata da notti trascorse a pensare. Raccolgo velocemente i capelli in una coda e torno in camera a mettere le mie dr. Martens, raccolgo lo zaino dal pavimento, ricontrollando che ci sia tutto, e dopo aver salutato i miei genitori esco di casa.

Airplanes ||Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora