Capitolo 4

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«Lynn, Lynn! Svegliati!».

Il mio lungo sonno venne interrotto da qualcuno che mi stava strattonando il mio braccio. Aprii gli occhi e con la vista ancora offuscata dal sonno intravidi un volto davanti a me. Mi ritrassi indietro spaventata. Focalizzai meglio e riconobbi il volto Dan. Trassi un sospiro di sollievo ed esclamai: «Sei matto? Mi hai spaventata a morte!».

«Davvero? Scusa, ma devo mostrarti una cosa. Su alzati!».

«Non voglio, ho sonno. Ti prego lasciami dormire un altro po'!».

Detto questo nascosi il viso nel cuscino.

«Va bene, se la metti in questo modo, non mi lasci altra scelta».

Dopo aver finito la frase Dan si chinò e mi prese in braccio mentre mi contorcevo per liberarmi dalla sua presa.

«Fammi scendere! Fammi scendere immediatamente!».

«Ne sei veramente sicura? Se vuoi ti lascio andare, ma non so se ti conviene...».

Smisi di dargli i pugni sulla spalla, ragionai un attimo e mi arresi. Mi sorrise e mi portò davanti alla porta della sua camera. Mi fece scendere e affermò pieno d'orgoglio: «Ho lavorato tutta la notte per finire di arredare la stanza!».

Osservai i suoi vestiti e mi accorsi che la canottiera e i jeans che indossava erano completamente imbrattati di vernice rossa e anche il suo viso era sporco con lo stesso colore. Rabbrividii al pensiero di dover smacchiare quegli abiti sudici.

«Dan, lo sai che io non ho alcuna intenzione di togliere quelle macchie di vernice, vero?».

Guardò i suoi indumenti: «Ho pensato anche a questo! Ormai dovevo buttare questi vestiti e così ho pensato di utilizzarli un'ultima volta e anche se li avessi sporcati, non avrei dovuto pulirli. Ora però chiudi gli occhi».

Dan, per assicurarsi che non sbirciassi, mi bendò. Aprì la porta e tolse la fascia. Davanti a me vidi il gran lavoro che aveva svolto: aveva dipinto le pareti di rosso, sistemato le assi di legno per il pavimento, montato una scrivania che aveva messo davanti alla finestra. Infine aveva messo un comodino accanto al letto.

«Sei stato bravissimo! Hai reso questa stanza veramente unica. Sei...» Dan mi azzittì dolcemente. Poi si avvicinò, mi prese le mani e mi diede un pacchetto. Mi guardò con i suoi occhi ridenti e mi sussurrò all'orecchio: «Questa stanza non è ancora completa. Senza questo non vale assolutamente nulla. Decidi tu dove vuoi che stia».

Lo guardai incuriosita. Aprii il misterioso pacchetto e quando vidi cosa conteneva mi commossi: era una nostra foto che avevamo scattato quell'estate. La strinsi a me e poi la sistemai sul suo comodino. Volevo che fosse la prima cosa che vedesse al mattino e l'ultima prima di addormentarsi. Le mie lacrime scendevano lentamente e bagnavano le mie guance. Dan si avvicinò e mi abbracciò. Poi prese un fazzoletto e asciugò il mio viso. Mi baciò dolcemente. Rimasi abbracciata a lui. Il tempo sembrava essersi fermato, ma poi, accidentalmente, il mio sguardo si posò sul suo orologio.

«Oh, no! Sono in ritardo! Scusami Dan, ma ora devo proprio andare».

Corsi nella mia camera a prepararmi. Poco dopo ero già fuori di casa e correvo per non perdere l'autobus. Rimpiansi di non avere la patente. Arrivai davanti alle porte del distretto di polizia con solo un quarto d'ora di ritardo. Ansimavo tremendamente e temevo il richiamo che mi avrebbe fatto Roxanne. Entrai e, spalancata la porta, vidi lei davanti a me.

«Agente Winter è in ritardo di un quarto d'ora. Per oggi passi, ma la prossima volta che ritarderà...» fece una lunga pausa e sistemò il colletto della camicetta «dovrò prendere dei provvedimenti. Ci tengo molto alla disciplina. Quindi è bene che impari subito. Buon lavoro».

Il segno dell'odioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora