Capitolo 4.

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«Che ci fai qua?»

Sobbalzo e mi porto una mano al petto. 

I suoi occhi chiari mi scrutano in maniera strana: incazzati ma ricchi di vergogna. La pelle pallida è segnata da numerosi lividi e del sangue è ancora incrostato sul naso e sulle labbra.

 Schiudo le labbra per dargli una spiegazione ma la richiudo un istante dopo: non ho una vera motivazione per essere là, è palese. Faccio, quindi, l'unica cosa che il mio organismo pare in grado di saper fare adesso: me la do a gambe levate; gli do le spalle e corro via, più veloce che posso, sentendo le gambe mollicce e le braccia tremare.

***

Ticchetto nervosamente la matita sulla scrivania osservando gli appunti a pochi centimetri dal mio viso, ma è tutto inutile: io ho la testa da tutt'altra parte e comunque questa merda non riesco a capirla.

E' passato un solo giorno dall'episodio al quale ho avuto il dispiacere di assistere al settimo piano, eppure in 24 ore ho avuto tutto il tempo necessario per riflettere sulla mia vita, e quella di Michael. Non che sia riuscita a giungere ad una conclusione, per carità.

Jenna se ne sta sul suo letto in silenzio, a pancia in su e con una pallina anti-stress tra le mani; credo sia una persona piuttosto nervosa, perchè ha delle abitudini ripetitive che sembra svolgere solo quando qualcosa non va. Quello di adesso, ad esempio, è un atteggiamento che sto riscontrando spesso in queste settimane di convivenza: si sdraia sul letto, fissa il soffitto spoglio e massacra quella povera pallina di gomma; a volte il suo viso si accartoccia in strane espressioni di dissenso, ma non glielo faccio pesare.

Oggi è venerdì e, fortunatamente, la nostra facoltà non prevede lezioni.

La nostra-strana- quiete viene interrotta dal bussare furioso di qualcuno fuori alla porta.

Jenna ringhia, visibilmente infastidita.

«Chi cazzo è che rompe i coglioni di venerdì?» Domanda senza aspettarsi un'effettiva risposta.

Credo che il venerdì sia sacro per lei.

Striscio la sedia sul pavimento e sospiro, dirigendomi verso la porta. La spalanco e il respiro mi si blocca in gola.

Michael mi osserva per qualche secondo con gli estremi delle labbra rivolti all'ingiù prima di superarmi ed entrare in camera.

«Abbiamo bisogno di rimanere da soli.» Afferma duramente fissando la sagoma di Jenna ancora sdraiata sul materasso. La vedo stringere con violenza la pallina.

«Entri in camera mia e pretendi di dettare legge? Chi cazzo sei?»

«Dana deve parlare con me e-»

«Jenna per favore, non ci metterò molto.» Supplico, tentando di mettere immediatamente a tacere quello stupido battibecco. 

La verità è che qui siamo tutti troppo nervosi e scorbutici ma nessuno ha le palle di ammetterlo.

La ragazza borbotta, lancia la pallina gialla contro il muro e la lascia rotolare sul pavimento, poi si alza svogliatamente e se ne va, sbattendosi la porta alle spalle. Mi appunto mentalmente di parlarci dopo perchè non voglio imputtanarmi con la mia coinquilina.


Michael se ne resta in silenzio, come se tra i due quella ad essersi presentata nella camera dell'altro sia io.

«Se non hai niente da dire quella è la porta»

Michael sgrana gli occhi e si morde un labbro.

«Di quello che hai visto ieri non ne devi parlare con nessuno, chiaro?»

Stringo i pugni che ricadono lungo i fianchi. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 02, 2016 ⏰

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Punto e virgola || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora