Capitolo 3

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Quando dal finestrino scorgo la figura imponente del liceo linguistico che ho scelto, prenoto la fermata e mi affretto a scendere.
Noto con un certo sollievo che il ragazzo che ci ha provato poco prima con me non frequenta il mio stesso istituto.

Arrivata all'entrata, scorgo qualche viso familiare, ma nessuno con cui abbia instaurato chissà quale rapporto.

Mi affretto per le scale e con un po' di fiatone raggiungo il terzo piano.
Sono tre anni che salgo queste scale ed ancora non mi ci sono abituata.

Vicino la porta della mia classe c'è Chiara, che può benissimo essere considerata l'antipatica della scuola.
Cerca sempre di mettersi in mostra e sminuisce le altre persone per aumentare il suo stupidissimo ego.
Per avere più visibilità farebbe di tutto, di tutto.

Quando mi vede un sorriso viscido le increspa le labbra.
Faccio per ignorarla, ma si pianta nel bel mezzo della porta, impedendomi l'accesso.

«Dovrei passare. »
«Dovresti darti una sistematina invece. Sembri la brutta copia di Katy Perry.»
«Il mio aspetto non è qualcosa che debba interessarti.»
«Infatti non mi interessa, lo dicevo per te. Non troverai mai nessuno conciata così.»
«Chi ti dice che io voglia trovare qualcuno?» domando, lasciandola a bocca aperta.

La sorpasso ed entro in classe.
Il mio banco, posto vicino la finestra aperta, è occupato da un ragazzo mai visto prima.
Quando lo raggiungo poso lo zaino sul banco e lo guardo, aspettando che capisca che il posto è mio e che deve alzarsi.

Ha le cuffie nelle orecchie perciò non si accorge minimamente della mia presenza.
I capelli biondo cenere leggermente mossi gli cadono disordinatamente sul viso, nascondendo il colore dei suoi occhi.
Quando nota la mia presenza, distoglie lo sguardo dall'Iphone e fissa i suoi occhi nei miei.
Sono di un verde erba.
Si toglie le cuffie e mi rivolge un sorriso.
«Ciao.»
«Potresti cambiare banco?
Questo è mio.»
«Ci sono due posti, potremmo benissimo stare insieme.»
«Oppure potresti spostarti al banco di lato, se non te ne sei accorto è vuoto anche quello.»
«Preferisco questo.» risponde con un sorriso, innervosendomi leggermente.

Per non dargliela vinta o fargli pensare che la sua presenza sia così rilevante, mi siedo accanto a lui, ignorandolo.

«Dovresti essere un po' più gentile con i nuovi arrivati.»
«Non lo sono neanche con i miei vecchi compagni, non vedo perché dovrei esserlo con quelli nuovi.»
«Non credevo che una ragazza così carina potesse essere così scontrosa.»
«Ed io non credevo che un ragazzo sapesse coniugare i verbi, sto per commuovermi.» replico, cercando qualcosa nello zaino.
Scoppia a ridere e mi ritrovo a pensare a quanto la sua risata sia spontanea.
«Sei divertente.» constata, fissandomi.
Non ricambio la sua occhiata, intenta come sono a non voler averci nulla a che fare.
«Potresti semplicemente ignorarmi?»
«Come potrei ignorare una come te?»
Due anni fa sarei arrossita alle sue parole, ma ora come ora non mi fanno alcun effetto.
«Stando nella tua parte di banco e prestando attenzione a qualunque altra persona o cosa che non sia io.
Oppure potresti sempre cambiare posto.»
«Preferisco rimanere seduto qui vicino a te, anche se a quanto pare mi odi.»
«Non ti odio, è solo che la tua presenza non mi fa né caldo né freddo.»
«Vorrei poter dire lo stesso della tua.»
Decido di non replicare a quell'ultima frase.
Questo ragazzo è l'ultimo dei miei problemi ora come ora.

Quando la classe si riempie e la professoressa entra, cerco di non distrarmi anche se con il ragazzo seduto accanto a me è dura.
Picchietta sul banco e sembra perso in chissà quali pensieri.
«Potresti smetterla?»
«Non dovevi ignorarmi?» mi domanda sorridendo.
«Se tu non mi stessi infastidendo, ti ignorerei.»
«Se la mia presenza non ti facesse nessun effetto, non ti saresti neanche accorta che ti stia infastidendo.» mormora nel mio orecchio.
Mi scanso il più possibile e cerco di ignorarlo, stavolta seriamente.

La professoressa di inglese dopo aver fatto l'appello e aver presentato con due paroline il ragazzo nuovo, che si chiama Francesco, inizia a parlarci degli argomenti che studieremo quest'anno.

Ho sempre amato la lingua inglese, sin da quando ero piccola.
Ho iniziato a studiarla quando avevo cinque anni e da lì non ho più smesso.
La conoscenza di questa lingua migliorò anche la mia pronuncia, che ad un orecchio esperto risultava benissimo italianizzata.

Mia nonna mi ha sempre sostenuto, sia nel campo della musica, che in quello della cultura.
Ha sempre pagato le rette delle mie scuole senza che io glielo chiedessi mai.
Non volevo di certo che spendesse i suoi guadagni per me, ma non riuscii a smuoverla così mi ritrovai a studiare nelle scuole più prestigiose e costose di Roma.

Mia nonna è l'unica persona cui riesco ad essere la Elena che ero prima.
È l'unica persona che mi ha sempre capita, l'unica che sopporta le diverse sfaccettature del mio nuovo carattere, l'unica a cui ho raccontato dello stupro.

Nonostante non fosse d'accordo sul non dire niente ai miei, non ha mai agito alle mie spalle, non ha mai rivelato perché la loro figlia tutto ad un un tratto si fosse spenta.

Voleva però che incontrassi e parlassi una psicologa, ma ogni volta che avevo appuntamento con lei li saltavo.
Non volevo che qualcun altro sapesse di quanto mi fosse successo.

La prima ora passa in fretta così come le altre due seguenti.
Noto con disappunto che il mio compagno di banco resta seduto al suo posto.

Si è rinfilato le cuffiette e sembra perso nel suo mondo.
Di sfuggita, lo osservo.

Con le dita tiene il tempo della canzone che sta ascoltando nelle cuffie.

La musica su di lui ha lo stesso effetto che ha su di me.
Ci rilassa, ci fa essere chi vogliamo essere, ci estrania dal nostro stesso corpo e prende possesso della nostra mente.

Ora che l'osservo meglio, non sembra poi così male.
In lui c'è qualcosa di diverso dagli altri.
È come se volesse saperne di più su di me, come se volesse leggermi dentro.

Gli altri si limitano alle mie prime due parole taglienti per capire che tipa sono.
Lui no, mi provoca, mi irrita, solo per cercare di capire cosa nascondo, solo per cercare di tirar fuori qualcosa da me.
Non sa però che se continua così, si rovinerà da solo.

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