•Sono cosi•

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Passavo i pomeriggi seduta su una panchina in un parco isolato, di cui pochi conoscevano l'esistenza e nessuno lo frequentava.

Nessuno eccetto me ed un'anziana signora.

Tutti i pomeriggi portavo con me un libro da leggere e andavo in quel parco sperduto e appena arrivavo la trovavo lì, seduta su una panchina con gli occhi un po' vuoti e forse stanchi; le sorridevo e lei ricambiava, ma non c'eravamo mai scambiate una parola.

Trascorreva veloce il tempo e vedevo sul suo volto qualche ruga in più, qualche segno di debolezza, di vecchiaia.

E anche sul mio c'era un po' di stanchezza in più ogni giorno che passava, anche se io ero più giovane di lei di molte decine di anni.

Ogni giorno le sorridevo e lei ricambiava ma non una parola. Mai.

Stavo bene lì, in quel parco. In generale stavo bene nella solitudine, nella pace che emanava il silenzio. E mi piaceva così non avevo bisogno di nient'altro.

Mio nonno era molto malato in quel periodo, i dottori dicevano che avrebbe resistito ancora per poco, che poi sarebbe crollato anche lui.

Pochi mesi prima era deceduta mia nonna.

Da qualche parte ho letto che quando l'amore vero lega due persone, la morte se le porta via assieme.

I miei nonni si amavano moltissimo. Di quell'amore puro, senza regole né tradimenti.

Così mio nonno morì dopo quindici giorni di ricovero ospedaliero.

Allora era proprio vero; erano troppo innamorati, per poter rimanere tanto tempo separati l'uno dall'altro.

Smisi di andare al parco isolato per un pò e per un attimo di secondo pensai alla signora anziana, mi chiesi se anche lei aveva già perso l'amore della sua vita, oppure se non l'aveva mai trovato e ancora lo aspettava.

Anche se non avevo mai parlato con lei, sentivo di esserle amica, per il sorriso che ogni giorno le rivolgevo che chissà, magari poteva rallegrarle la giornata.

Dopo qualche settimana ritornai al parco, dimenticandomi a casa un libro da leggere; vidi la signora, la guardai ma non le sorrisi, non ne avevo le forze. Lei mi sorrise comunque.

Sentivo le lacrime ancora lì, incastrate in un angolo dei miei occhi e non potevo permettermi di mostrarmi debole.

Ma non ci riuscii.

Piansi, piansi come non avevo mai fatto e le lacrime non smettevano più di rigarmi il viso scavato e pallido.

Vidi la signora alzarsi e venire verso di me; zoppicava un poco e mi guardava un po' malinconica e anche preoccupata. Si sedette di fianco a me, chiedendomi cosa mi fosse accaduto; le raccontai di mio nonno e lei non ebbe bisogno di confortarmi con delle parole, semplicemente mi abbracciò.

"E lei?" le chiesi poi singhiozzando "lei perché viene qua tutti i giorni?"

"La mia è una lunga storia, ma ora che ti si asciugano quelle lacrime cara mia, credo che ne passerà di tempo" sorridemmo, vidi il suo sorriso per la prima volta e per un attimo mi sembrò di rivedere mia nonna. Aveva le rughe così leggere, da ringiovanirla un po'.

"Era il lontano Marzo del 1930, quando conobbi Giacomo. Mi innamorai subito del suo sguardo, della sua voce, dei suoi occhi, del suo modo di fare e di essere; si era preso tutta me stessa. Era, o almeno sembrava un brav'uomo, lui.

Passammo molto tempo insieme e circa dopo cinque anni di fidanzamento in cui avevamo progettato tantissime cose, tra cui comprarci una casa al mare, aprire un bar sulla spiaggia e mettere su famiglia, mi chiese di sposarlo; me lo ricordo quel giorno, era una fredda mattina di Gennaio ed eravamo andati assieme a prendere una cioccolata per riscaldarci; fu il giorno più bello della mia vita. Era il mio mondo e io cel'avevo tra le mani. Avevo il mondo tra le mani.

Quel giorno decidemmo di vederci proprio qui la mattina seguente, su questa panchina in questo parco di cui praticamente nessuno ne conosceva l'esistenza tanto quanto io e lui.

Mio padre era a capo di un'impresa. Ero molto ricca, devo ammetterlo ero piena di soldi, quasi da non sapere per cosa utilizzarli, ma a me non importava il denaro.

La mattina seguente arrivai nel luogo dove ci eravamo dati appuntamento un po' in anticipo, non mi stupii del fatto che lui non era ancora arrivato. Ma poi, passò un'ora, due, poi tre e infine lo aspettai per quattro ore, ma non arrivò.

Pochi giorni dopo venni a sapere che se n'era andato via lontano, in qualche posto di montagna, insieme ad una ragazza molto più bella di me e anche molto più ricca che conoscevo di vista.

Capii che lui da me voleva solo i soldi e nient'altro; lui non mi amava, ma io sì e sprecai la mia vita per una persona che credevo un brav'uomo.

Comprai comunque la casa al mare e feci aprire quel benedetto bar che lui tantodesiderava e li lasciai marcire, com'era marcito in poco tempo il nostro amore.

Sono rimasta solo con qualche spicciolo per procurarmi da vivere.

Ho dato tutto per lui.

I soldi, ma di cui sinceramente non m'importava.

Avevo dato a lui tutta me stessa.

Avevo dato a lui la mia vita e lui se l'era portata con sé, lasciandomi vuota.

Ma se adesso, mi chiedessi cosa ne penso dell'amore, ti direi di innamorarti, di innamorarti follemente di un ragazzo, di soffrire per lui, di aspettarlo, di lottare per lui, di amarlo con tutta te stessa. Ti direi di amare perché è la cosa più bella che c'è."

Ci rimasi di stucco, possibile che dietro a un sorriso e due occhi spenti ci potesse essere una storia tanto dolorosa?

"Ma come fa a crederci ancora nell'amore lei, che l'ha visto sgretolarsi davanti ai suoi stessi occhi?"

"Io non credo più nell'uomo di cui mi fidavo, ma nell'amore ci credo. Probabilmente il mio era destino, ero già segnata così; ma tu le vedi, tutte quelle persone che si guardano con quella lucentezza negli occhi? Quelle che anche se le chiami cento volte non ti sentono assolte nei loro pensieri? Ecco, quelle sono persone innamorate, che ci credono fino in fondo. Io ero una di quelle persone che ci credeva e che tutt'ora ci crede, ma che è capitata nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Ama, perché è la cosa più bella che può capitarti, non si sa se per caso o perché qualcuno l'ha voluto ma tu ama perché non ti sentirai più vuota, ma colma di felicità."

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