Capitolo III

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È il 1 gennaio del 2013. Oggi mi sento particolarmente bene, mi sento libera da tutto quel malessere che mi ha perseguitata fino a ieri.

È stata un'esperienza alquanto terribile quella di due mesi fa. Ebbene sì, anche io sono stata lasciata per un'altra. L'altra si chiama vita, quella che non poteva avere stando con me. Avete presente quando esci di casa ed hai la sensazione di aver dimenticato qualcosa, eppure sembra che tu abbia tutto lì con te? Ecco, diciamo che la mia esperienza è stata un qualcosa del genere, paragonabile a questo banale esempio. Sono stata illusa e presa in giro, sono stata usata come una bambina gioca con Barbie e Ken a farli innamorare. Sono stata convinta del fatto che se avessi cambiato città, sarebbe cambiato tutto. Certo, qualcosa è cambiato, solo nel peggiore dei modi. 

Non sapevo esattamente cosa significasse cambiare di punto in bianco la propria vita, fino a quel giorno. Ho lasciato la mia famiglia, gli amici, la mia città, il mio posto di sempre, le mie abitudini, insomma tutto. Certo è che i ricordi che ho di quel posto, non li dimenticherò mai. Non dimenticherò mai le amicizie nate con il prendersi in giro del fatto che sono del Sud, forti legami che si son creati con il passare dei mesi, l'unico ricordo positivo che ho di questa esperienza.

Sono stata ricambiata con un bel calcio nel sedere, con tanto di valigie enormi, quasi più alte e più pesanti di me, in un treno, in un altro e poi un altro ancora, da sola. Non trovavo il binario e stavo per perdere la partenza. «Hai bisogno di una mano?», mi chiese con tanta premura una ragazza sconosciuta, avvicinandosi a me, sollevando una delle mie enormi valigie, mi accompagna giù alle scale, mi sorrise e se ne andò senza neanche darmi il tempo di ringraziarla. D'altronde di tempo non ne avevo per niente, dato che dovevo correre, correre e correre per cercare ancora il binario del treno che mi avrebbe poi riportata a casa.

Mi ricordo ancora che sapore aveva quell'aria, appena scesi da quell'ultimo treno, finalmente ero nel mio posto, dopo un lungo viaggio più che straziante. Ero a casa e potevo piangere, potevo sfogarmi, potevo urlare, dopo aver trattenuto le lacrime per dieci ore di viaggio. E pure qualche lacrima scappava giù dagli occhi, ma era davvero fastidioso essere osservata dalle persone sedute di fronte a me, con sguardi ed espressioni del loro viso più o meno dispiaciuti. Avevano capito, forse, o quanto meno se ne erano fatti un idea.

Una volta tornata a casa, c'erano i miei cani lì ad accogliermi con una grande festa, ed i miei genitori sorpresi, felici e preoccupati allo stesso tempo, di vedermi. Eh già, non li avevo per niente avvisati del mio ritorno, per non farli appunto preoccupare. Non ho mai voluto fargli avere ulteriori pensieri, più di quanti non ne avessero già per conto loro. Ma ho comunque tutto il tempo a disposizione per spiegargli cos'è successo e come. 

In realtà non c'era molto da dire, si sa, le convivenze la maggior parte delle volte, non vanno mai a buon fine, soprattutto se non conosci perfettamente la persona che ti è accanto. Sei mesi son stati pochi e son stati tanti, ed ho capito che se non stalkeri l'altra persona non potrai mai fidarti di lui.

Ovviamente sono ironica, è solo che ho capito che per fidarsi almeno un po' bisogna osservare a fondo ogni aspetto, comportamento, frase o parola dell'altra persona. Non è vero che dipende tutto dal fatto che bisogna dargli spazio, libertà o quel che sia, perché per farlo io mi son beccata un bel fermaglio per i capelli con tanto di corna da renna. Non so se mi spiego.

Dunque ritornando ad oggi, credo di non aver mai avuto una lezione di vita come questa. Non ho bisogno d'esser triste o in lacrime, piuttosto d'esser tremendamente felice e fortunata. Perché io ho bisogno di parlare, di far bolle di sapone e di ridere da persone serie. Ho bisogno di parlare e di dire cose che ripeterò cento volte, ma di sentirmi ascoltata. Ho bisogno di non esser lasciata da parte, di avere un piede a terra e l'altro sulle nuvole. Io vorrei parlare così, alla come viene. Io ho bisogno di parlare.

Non esiste una persona che non ne abbia bisogno, la gente ha fame di ascolto, e rimane digiuna, perché nessuno lo fa mai. Allora scrivo per parlare, e la voce, quella che mi fa battere poi i tasti, diventa l'interlocutore principale. La gente ha bisogno di parlare, ma la lasciano sempre lì, ad aspettare.

Abbiamo tutti un occhio nero, chi perché non ha dormito, chi perché ha fatto a botte con qualcuno o con se stesso, e chi perché si è innamorato. Ma nessuno mai ne racconterà la provenienza, di quell'occhio dolorante. Nessuno. A qualcuno è passata la botta, a qualcun'altro invece è visibile ancora, e lo nasconde sotto un paio di occhiali da sole. 

Noto che il via vai quotidiano è fatto di passi rumorosi di gente arrabbiata. Ho letto scritte sui muri di chi era arrabbiato, innamorato, triste o felice. Ho visto bandiere alzarsi ed altre calarsi all'arresa. Ma la gente arrabbiata è sempre piena di qualcosa simile all'amore, le persone che lottano sono innamorate e per quell'amore li vedi scrivere sui muri o sulla sabbia. La gente arrabbiata sa amare.

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