Capitolo IV

112 15 3
                                    

Non ho mai amato la mia vita, ma non ho neanche mai invidiato quella degli altri. Ho sempre saputo accettare quel che mi è stato donato, fosse stato qualcosa di marcio o qualcosa di buono, ho sempre preso il tutto a due mani, come quando si raccoglie l'acqua da un ruscello e la si beve comunque con dolcezza, perché sai che è vitale.

Crescendo, mi sono abituata. Mi sono abituata a conoscermi, a parlarmi, a guardarmi, a farmi male e a farmi bene. Mi son fatta strada nel mondo, con la mia corazza ed una faccia tosta che mai avrei immaginato di poter avere, quasi come dire: ''Fate spazio, io esisto!" .

C'è solo un problema, penso. È solo che io non mi ricordo più, non mi ricordo più cosa significa ridere veramente, ridere a crepapelle, con la pancia in mano, il fiato che ti manca e le mascelle che ti fanno male.

Ho cominciato ad indossare una maschera sorridente, perché devo. Ma non so più cosa significhi farlo per davvero.

Uso tutti i giorni delle scarpe antinfortunistiche per non farmi calpestare i piedi, un giubbotto antiproiettile per non farmi colpire mai di faccia e mai alle spalle, ed infine quella maschera sorridente per non farmi dare il colpo critico, quello finale, guardandomi negli occhi e scoprire che nel volto, in realtà c'è la stanchezza e la tristezza di qualcuno che non ricorda più cosa significa esser felice.

È da ventidue anni che gioco a mettere insieme un puzzle, cercando di far coincidere al meglio i pezzi mancanti, quelli giusti. Ma spesso ho tentato di far combaciare quelli sbagliati, rischiando di rovinarli o addirittura romperli. A volte ci sono riuscita ed altre no, forse un giorno completerò tutto questo, nel migliore dei modi o nel peggiore, ma so che quando accadrà, sarò comunque fiera di come avrò passato il tempo mettendoci tutta me stessa, per costruire quel quadro che guarderò poi con soddisfazione, appeso al chiodo dorato che a me piace chiamare ''trofeo della vita''.

A volte ho rischiato di affogare, arrendendomi. Mi son sorpresa per tutto ciò che non ero capace di fare, di dire, di pensare, perché non lo facevo da troppo tempo. Ero in balia di qualcosa che sembrava felicità. Ho chiesto un risarcimento alla fortuna, che non è mai arrivato, vedo che c'è il sole, ancora in alto, e mi son accorta che scrivevo in maiuscolo tutto ciò che per me era importante, poi ho strappato i fogli. Torno ad affogare, ma non m'arrendo, perché me l'ha detto qualcuno che chi si ferma è perduto. E sono stanca di perdermi, anche se non mi sono mai fermata.

Ed è un bluff, in grande stile, ma pur sempre un bluff. 

Tutto torna ed io continuo ad andare, a volte torno ad affogare, come se non ci fosse null'altro. Sfodero il miglior sorriso, perché so che c'è chi ne ha bisogno. Sono un che parla poco, che non parla quasi mai, che ripete le stesse cose, che aspetta un ''parlami di te''. Sono una che torna ad affogare, ogni tanto, ma ne esco viva. Ne esco con i capelli bagnati, facendo fatica anche a respirare, ma ne esco viva, alla fine. Non mi piacciono le sconfitte, e credo d'esser nata guerriera proprio per questo. Lotto e vado controcorrente, controvento, contromano e contro le nuvole.

Navigo da sola pur avendo paura della solitudine, ma è così che ti fai forza nella vita, altrimenti ad appoggiarsi sempre sulle spalle altrui, si rischia di cadere e farsi male. Io non credo nella rinuncia, cammino veloce e so perfettamente cosa non dire, ma poi mi fermo, distratta, a guardarmi intorno, specchiandomi nel riflesso di una macchina o di una vetrina.

E ce ne sono tante di donne guerriere, le vedo ovunque. Le vedo dietro al bancone di un bar, sedute al tavolino a prendere un caffè, sorridono e negli occhi riesco a vedere il combattimento che c'è dentro di loro. Le vedo in giro per il paese, per le strade, sulla riva del mare, le vedo quelle che fanno la lotta con se stesse, con un'armatura invisibile, ma che le aiutano a difendersi alla grande.

Alla fine se ci penso, sono forte io. Sono forte, perché ce l'ho fatta. Respiro, più o meno, diciamo che faccio un po' fatica per colpa delle sigarette. Ma faccio più danni alla mia salute con i pensieri che con quelle.

Vivo, alla come viene, ma vivo. Sono forte, perché ho paura e tiro dritta, sempre. Sono forte, perché mi hanno detto di andare a fare la guerra e ho avuto il coraggio di urlare ''non in mio nome''. Sono forte, perché mi son lasciata travolgere, ma mai affondare, se non per colpa mia. Sono forte, quando una lacrima mi scorre sulle labbra e voglio sapere se è salata. Sono forte, perché, anche se mi hanno presa e appesa al muro, li ho guardati sorridendo, alla fine. Sono forte, anche ora, che scrivo dannandomi di continuo, chiedendomi scusa, ritornando ad esser viva.

"In ogni donna v'è tempesta e naufragio", penso io. Le donne, crescono nello stesso modo in cui lo fanno i fiori. Si accorgono di esser donne e vorrebbero fiorire, il cemento tiene strette le scarpe sulla terra. Donne con gli occhi che guardano al primo amore, senza scomporsi per il tempo che arriva veloce, e cadono, tremendamente, guardando uomini indifferenti. E si fanno chiamare "tesoro" da uomini che non le ascoltano e che di tesoro non ci trovano proprio niente in loro.

Donne di casa, di vita, di strada, di ufficio, di niente.

Donne stufe di esser solo femmine.

Donne, donna io, che cammino invidiando il vento.

Ora non tratterrò il respiro, di nuovo.

Credo nella coerenza del pensiero, nel mio sentirmi stabile e instabile, credo nei miei malesseri passeggeri che diventano stazionari. Credo nelle lotte che raggiungono quelli che prima erano in silenzio e credo nelle parole strozzate, quelle che stanno in gola e non escono più. Credo nei doppi sensi, quando non hai altro da dire.

E mi ritengo una persona che ha avuto la sfortuna di non saper correr dietro la fortuna. Ed ora ho un livido sul viso che sembra un sorriso.

STRONGER THAN FATEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora