11- La Parata delle Rose ( parte 1)

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In cucina trovo mio padre pronto per uscire. Indossa un completo elegante che riserva per le feste: camicia azzurra, cravatta, giacca e pantaloni blu.

«Morirai di caldo con quella giacca» gli faccio notare.

«Voglio essere elegante per rappresentare al meglio le nostre rose, semmai dovessero consegnarci il premio sul palco.»

«Ma la premiazione avverrà staserà, suderai tantissimo» dico io.

«Con tutto il traffico che c'è non avremo il tempo per tornare a casa. Toglierò la giacca quando sentirò caldo.»

Quattro anni fa, quando la squadra dei Wilson ha vinto, papà è stato chiamato sul palco per ritirare una targhetta che diceva: "Primo premio alla produzione delle rose più belle, originali e rappresentative di Paradise Rose". Indossava una maglietta tutta stropicciata, impregnata di sudore e un paio di jeans. Io sono rimasta giù dal palco con Caleb e mia madre ad ammirarlo commossa. Avevo solo dodici anni, ma il ricordo è rimasto indelebile nella mia mente.

«Tu invece, perché non indossi quel vestitino azzurro che ti ho regalato l'anno scorso?»

«È troppo elegante, preferisco i miei jeans. E poi sono cresciuta di un paio di centimetri, mi sta troppo corto.» Scusa perfetta, mio padre non vuole che indossi le minigonne.

«Mi piacerebbe vederti elegante oggi, vorrei portarti sul palco con me semmai... »

«Hai già fatto colazione?» gli chiedo. Cerco di cambiare discorso, anche se dovessimo vincere, non salirò sul palco.

«Sì, ti ho preparato del caffè» indica la macchinetta del caffè in cui c'è una brocca trasparente piena di caffè.

«Ma sarà già freddo!» mi lamento.

«Se ci sbrighiamo potremo vedere la sfilata dalla prospettiva migliore».

«Caleb? Non è ancora sceso?» chiedo, è sempre l'ultimo a scendere per la colazione. «Non è mai puntuale, nemmeno in questa occasione!»

Mio padre mi ignora.

Ultimamente ogni volta che nomino Caleb piomba il silenzio. Ieri sera hanno avuto una discussione, sentivo le urla dalla mia stanza. Ma poi per fortuna ho ficcato la testa sotto al cuscino e mi sono addormentata.

«Prendi la video camera e ce ne andiamo» mi dice brusco.

«La videocamera?»

«Sì. La videocamera! Dovevi occupartene tu!»

«Ci avrebbe pensato Caleb, me lo aveva promesso doveva girarlo lui il filmino, è più bravo.»

«Beh, visto che tuo fratello non c'è, dovrai pensarci tu. Lui sarà più bravo di te, ma tu lo sei più di me.»

«Caleb non è in casa?» Chiedo incredula. «Credevo dormisse ancora!»

«No. Ha lasciato la videocamera ieri sera qui in cucina. Scommetto che nemmeno l'ha preparata. Controlla che ci sia la memorycard e poi andiamo via. Non voglio perdermi lo spettacolo migliore.»

Controllo lo slot della video camera, come ha ipotizzato papà, manca la card.

Mio fratello, è diventato inaffidabile. Gli ho chiesto di fare una cosa sola: preparare la videocamera.

«Hai ragione, manca la card. Ma dov'è Caleb?»

Mio padre sbuffa impazientito. Mi pento di averglielo chiesto. Non voglio rovinargli la giornata. Non oggi.

«Vado a cercarla in camera sua!» dico, cercando di non farlo arrabbiare.

«Fa presto!» Mi incita papà.

La camera di mio fratello è più incasinata di lui. Il letto è disfatto come sempre, i vestiti sono sparsi dappertutto, sul pavimento, sopra il letto, sulla poltroncina vicino la finestra, mentre l'armadio di fronte al letto è aperto e semivuoto. Afferro un paio di card che trovo sopra la scrivania, vicino a dei fogli sparpagliati, ma le rimetto subito a posto. E se sovrascrivessi le immagini festose della Parata su dati importanti? Caleb potrebbe uccidermi. Io in genere non ho l'abitudine di curiosare in camera sua per trafugare le sue cose, ma non posso tornare da papà a mani vuote. Rovisto nel cassetto della scrivania, all'interno del quale trovo due memory-card nuove, sono conservate nella confezione integra, userò queste. Due memory-card da sedici giga ciascuna dovrebbero bastare, ne metto una in tasca, l'altra la inserisco nello slot della videocamera.

Durante il viaggio in auto mio padre mi chiede se la batteria della videocamera è carica, se ho portato quella di riserva, se l'ultima volta che l'ho usata funzionava, se ho  fatto questo, se ho fatto quello. Rispondo di sì a tutte le domande. In realtà non sono sicura che tutto sia a posto. È pieno di aspettative per questo evento, lo siamo entrambi. Spero che non rimanga deluso semmai il carro dei Wilson non dovesse vincere e soprattutto mi auguro di registrare tutto senza combinare disastri. Poi per il resto del viaggio sta zitto e io anche.


Mio padre aveva ragione ad avere fretta. Le auto parcheggiate sono tantissime, decidiamo di posteggiare non appena troviamo il primo parcheggio utile, per non rischiare di dover tornare indietro e perdere altro tempo. Scendiamo dall'auto e ci avviamo a piedi, siamo ancora molto lontani dal centro, mio padre imbraccia una borsa che contiene dell'acqua e qualche panino, io quella con la videocamera. La nostra destinazione è la piazza. Nonostante manchino ancora più di tre chilometri non circolano più veicoli, tranne gli autobus navetta che fanno la spola tra le zone più periferiche e il centro, li vediamo passare pieni di gente e ritornare vuoti pronti a trasportare altri turisti. In lontananza osserviamo una frotta di gente appena scesa dall'autobus, che si incammina in fretta, si mescola e si confonde con le sagome di altre persone. Non sarà facile con questa confusione riuscire a trovare una buona posizione per girare il filmino.

Sono arrabbiata con Caleb, è una vera crudeltà non essere insieme a noi, papà ci è rimasto davvero male, desiderava che fossimo tutti uniti in questo giorno così speciale. Ma rabbia scema e lascia spazio all'eccitazione quando raggiungiamo la piazza. Verso le dieci è già gremita. La piazza è addobbata in tutto il suo perimetro con decorazioni di grandi fili di raso dorati e argentati che, in corrispondenza delle grandi colonne di marmo che la delimitano, convergono e si intrecciano a formare dei grossi fiocchi. Mancano le rose, perché sono state tutte utilizzate per i carri. Tutti quanti sorridono, sembrano felici, l'atmosfera è decisamente festosa: ci sono tantissimi bambini con i cappellini vivaci che sventolano bandierine colorate o palloncini con il nome della squadra preferita. Davanti la chiesa di San Joseph sul lato più corto della piazza è stato allestito un grande palco. Proprio in questo momento due presentatori si stanno affacciando per dare il benvenuto. Si tratta di John Miller e Vera Brown due giornalisti di punta della Paradise Rose Channel, la nostra televisione locale. Sono entrambi elegantissimi. Lui, un bell'uomo sulla quarantina, indossa un vestito nero di raso. Lei, di almeno dieci anni più giovane, indossa un abito monospalla di seta color pesca, nella parte superiore il tessuto aderisce come una seconda pelle sulle sue morbide curve, mentre nella parte inferiore la gonna plissettata scivola naturalmente sui fianchi, terminando ampia appena sotto le ginocchia. Presumo che questo sia solo il primo dei tanti abiti che Vera indosserà durante la giornata.

«Signori e signore benvenuti!» Il suono amplificato delle loro voci fa vibrare ogni cellula del mio corpo. La festa sta per cominciare. Sono così emozionata! È bellissimo essere qui, persino in assenza di Caleb.


Sto lavorando al prossimo capitolo della Parata delle Rose, sembrerà strano, ma è molto difficile da scrivere per il modo in cui si svolgono gli eventi. Invece ho già pronti molti capitoli successivi. Cercherò di sbrigarmi.







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