Istinto malato

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(Prima Parte)



Camera mia non mi vedeva da il pomeriggio antecedente, il che non mi sorprese l'ordine composto certamente da quella santa donna di Lois. Con quanti attrezzi, scarpe e cd doveva lottare quella povera donna per riordinare la mia stanza! Invidiavo la sua immane pazienza, ne avrei voluta un po' anch'io. Fosse stato per me, avrei gettato tutto dalla finestra, ma quando glielo dissi dichiarandola la soluzione migliore, mi rispose che nulla si getta via senza sapere dove vada a finire.

Ma ora che ci riflettevo... chissà se si riferiva solo alla mia roba.

Mi tolsi la felpa, la canotta e le sneackers, rimanendo solo con i pantaloni della tuta che tenevo sempre nel borsone della palestra. Con un tonfo sordo mi gettai sul letto a una piazza e mezza.

Credo che rimasi più o meno mezz'ora a fissare il soffitto e contare mentalmente tutte le canzoni dei Metallica della mia playlist e notare che superavano di gran lunga quella dei Queen. Io e la mia fissazione per i Metallica; non sono mai riuscito ad allenarmi, né a studiare -si fa per dire- e nemmeno a pensare a niente senza averli alle orecchie, cosa a cui feci abituare anche Victor e Jake col tempo, i quali, in principio, m'avrebbero spaccato un bilanciere in testa pur di spegnere lo stereo durante gli allenamenti.

Ma cazzo, avete mai provato a riempire di pugni un sacco da boxe con la carica che vi danno le plettrate di due chitarre elettriche? Assolutamente qualcosa di epico.

Mi piaceva pensare che quel che loro dicevano non era altri che la traduzione del mio lato più incombente e tormentato, ciò che facevo scattare fuori durante i momenti di fuori controllo.

Ed erano tre i momenti in cui mi sentivo un tutt'uno con me stesso: quando ridevo come un pazzo, quando raggiungevo l'orgasmo e quando combattevo con tutte le forze che avevo. Senza riflettere.

Erano gli unici momenti in cui mi sentivo vivo e sfinito allo stesso tempo, in cui non pensavo: ero semplicemente Achille e nient'altro.

Mi capitava, per questo motivo, che la collera, spesso e volentieri, prendeva il controllo dei miei colpi e infieriva al mio posto, senza tregua. Vedevo solo sangue in quei momenti, il mio raziocinio andava a farsi benedire in chissà quale chiesa e l'istinto era l'unico amico che mi appoggiava.

Poco importava se un paio di volte mi è capitato di ridurre all'osso qualche avversario al Big Down. Poco importava se in quelle volte avevo odiato e attaccato qualsiasi persona che mi si era avvicinata per staccarmi da quella presa di morte, quando l'altro aveva già battuto la resa.

E poco importava se avevo rischiato la squalifica più di una volta a causa della mia mancata lucidità e responsabilità: in quegli istanti mi trovavo in sintonia con le mie emozioni, non stavo nascondendo più nulla ormai, il mostro dentro me si stava manifestando ed io stavo... bene.

Poi tornava la ragione, il mio viso non bolliva più, la mia rabbia veniva risucchiata e io mi sentivo improvvisamente vuoto, stanco.

E con una voglia immensa di urlare.

Non capivo il motivo per cui sentivo il mio stato d'animo a pezzi, afflosciato in qualche angolo remoto del mio corpo, ma sapevo che avrei combattuto altre mille volte per arrivare a sentirmi vivo ancora.

I can't remember anything, can't tell if this is true or dream.

Deep down inside I feel to scream.

This terrible silence stops me.

* * *

Odiavo quella dannata sensazione di secchezza della bocca, avevo la lingua impastata, e scommetto che se l'avessi aperta avrei trovato le mosche morte, cadute dalla zanzariera sul balcone.

Diamante NeroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora