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Io e la popolarità viaggiamo su binari differenti.
A scuola, non riuscivo a farmi degli amici, soprattutto tra gli insegnanti.
Guardavo fuori dalla finestra, un mattino, sognavo di essere un uccello. Di allontanarmi, volare via. Raggiungere un posto dove l'uomo non fosse mai arrivato.
«Weiges», sbuffa la signorina Morehouse.
Sento la classe mettersi a ridere. Patrick Haimes, il campione di football, mi sta indicando. Lo vedo tirare una pacca al suo compagno.
«Weiges», dice l'insegnante, «non dico sapere le cose, ma almeno rispondere». Scuote la testa, scrive qualcosa sul suo registro.
Rita era l'unica che non rideva. Mi sembrava preoccupata.
Al centro del corridoio, Patrick mi guarda dall'alto del suo metro e ottanta. «Weiges», dice, «lo sanno tutti che tuo fratello era un mezzo ritardato». Alle sue spalle, altri due ragazzi della squadra. «Come ha fatto a farsi arruolare, eh?». La gente ci sfila accanto, un fiume grigio e silenzioso. Fantasmi. Solo in pochi si fermano a curiosare.
Il fratello di Patrick è morto in Vietnam, proprio come Denny. Ogni tanto vedevo sua madre al cimitero. Una donna magra, gentile. Una volta mi ha dato persino una carezza.
Gli occhi di Patrick sono lucidi.
Un'ombra si allarga sopra di me, una mano si mette a raccogliere i miei libri.
«Rita», squittisce Patrick, inorridito. «Sei qui da una settimana e già ti schieri col mostriciattolo?».
Lei alza la testa, lo fissa. Occhi duri come il marmo. «Dopo questa, Haimes», dice, «non uscirei con te nemmeno se fossi l'ultimo cretino sulla terra».
Patrick non risponde. Si guarda intorno, gli altri abbassano la testa.
Sentii qualcosa nel petto, qualcosa di caldo e di molto bello.


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