#5

659 102 15
                                    

«Lì non ci va l'apostrofo», dice Rita, che si piega e fa un segno sul mio foglio. «Non hai detto che vorresti scrivere, da grande?».
Le schiaccio la punta della penna sul naso, Rita estrae la lingua come se avessi toccato un tasto magico. Il modo in cui mi guarda. «Quella sei tu», le rispondo.
Sorride. Restiamo così, a osservarci e basta. Sento le guance accendersi di rosso, qualcuno bussa due volte alla nostra porta.
Nessuno si è mai interessato a me. Da quando Denny se n'era andato, di me importava soltanto a mio padre.
La porta si apre, la madre di Rita entra con un vassoio in mano. È d'argento, è grande, sopra ci sono un sacco di cose colorate. Ci chiede se ci va di fare merenda. Sotto al tavolo, il piede di Rita mi sfiora una gamba, la penna scivola dalle mie mani.
La camera di Rita dev'essere ancora arredata, ci sono già le sue foto appese alle pareti. Viene dalla città, il padre di Rita è una persona importante. Immagino debba pesarle, l'essere finita in un paese piccolo come il nostro. Invece mi ha detto che qui si trova bene.
Sua madre si siede, inizia a raccontarci di quand'era giovane, di com'era tutto più difficile, quando lei era ragazzina. Rita in silenzio mi fa le facce. Non toglie mai il suo piede dalla mia gamba, impossibile che non se ne sia accorta.
«Quando sarò grande», mi aveva detto, «voglio fare la giornalista». Ha osservato il vuoto, qualche luogo impossibile nel suo futuro. «Scriverò di cose importanti. Le guerre. Le ingiustizie». Avrei voluto prendere quello sguardo e girarlo su di me. Per sempre.
Rita non divenne mai una giornalista.

FuryDove le storie prendono vita. Scoprilo ora