We are accidents waiting
Waiting to happenMi viene voglia di canticchiarla questa canzone dei Radiohead. E allora lo faccio. Sputo un paio di note, così. Mi sdraio sul divano, guardo il pavimento e grido: «Sì. Cazzo».
Mentre la droga invade il mio corpo come un fiume in un deserto arido, metto a fuoco il cadavere di Jane Coscetti.
«Ciao. Jane.»
Ma eccola, zitti.
Zitti, adesso. E fermi.
Adesso vedo anche l'anima, di Jane. La vedo staccarsi come un vecchio adesivo e salire su, arrampicarsi verso il soffitto.
«Bel-lis-si-mo.»
Le anime sono di colore azzurro, lo sapevate? Palpitano come neon, illuminano ogni cosa. Quella di Jane si incastra nell'angolo tra due pareti, una chiazza di farfalle fluorescenti. Accende il divano, i cuscini, il pavimento, i motivi primaverili e sorridenti della mia tappezzeria. La mia pelle.
Naturalmente, tutto questo lo vedo soltanto io.
Il cellulare lampeggia, pulsa in silenzio sul tavolino di vetro. Alla fine si arrende, ritorna in stand by.
Chiudo gli occhi.
Sono gli effetti della Dark Gift.
Funziona così, ti fa vedere cose bizzarre, la Dark Gift. È come un filtro, si sovrappone alla realtà. È la droga più potente che sia mai esistita.
Oh, so già a cosa state pensando. Lì, coi vostri ditini incollati allo schermo mentre leggete della mia tossicodipendenza. Pensate che sia come le altre, che faccia più o meno ciò che fanno le altre schifezze ultra-sintetiche.
E qui vi sbagliate.
Ora sturate bene le orecchie.
Uno. La Dark Gift costa un botto di soldi.
Vi serve un conto a nove zeri per mantenere la vostra assuefazione. Senza di quello non ve la fanno nemmeno vedere, neanche da un cannocchiale, neanche dal tetto di un super-grattacielo del cazzo. Io posso, voi no. E questo è un punto importante.
Due. La Dark Gift è violenta. Molto violenta.
C'è gente che prima di iniettarsela si fa sigillare in stanze a pareti bianche, sapete, quelle morbide coi cuscini, quelle dei pazzi. E io lo so il motivo, ne ho viste anche con questi miei occhi di reazioni allergiche inquietanti. È successo a Minh Sang, per esempio, il mio maestro.
Tre. La Dark Gift non ti fa sentire meglio. Con la Dark Gift sei Dio. Punto.
Ti svuoti tutto il dosatore nella pupilla vogliosa e dilatata - perché è così che va presa, tipo collirio - la cornea che sembra staccarsi dalla testa mentre con l'altro occhio vedi il liquido bluastro che scende piano piano, le lineette dei milligrammi che vengono a galla e a quel punto non sei più tu, sei Neo di Matrix. Sei Thor, sei Tony Stark.
Sei l'incredibile Hulk, sei qualsiasi super diavolo decidi di essere. Ti convinci che se ti butti dal balcone distruggi l'asfalto coi piedi, e che sono trentacinque piani?, ti rialzi, scuoti la giacca e fai ciao ciao a tutta la città come una prostituta.
Quattro. Le cose che ti fa vedere saranno anche bizzarre, sì, ma non ho detto che non esistono.
Ah, mentre vi parlo Jane Coscetti è ancora qui, steso ai miei piedi, sempre morto. Un bravo ragazzo, Jane, peccato solo per quel nome da femmina e quel problemino con lo spaccio.
Mi fa, Jane, giusto prima di correre al bagno: «Mark, vado a cambiare l'acqua al pettirosso», e lascia tutta la roba lì, sul tavolino di vetro. Ce ne sarà almeno mezzo litro, di Dark Gift, fanno più o meno dieci dosi. I patti lo so bene quali sono, che dovrei aspettare, che non dovrei prenderla prima che Jane non se ne sia andato, che quantomeno dovrei legarmi, che...
Ma no. Oggi non ne ho voglia.
Oggi ho un piano, ecco cos'ho.
Più o meno, questo è ciò che è successo:
Io ero sempre il primo, nel giro di Jane. Sarà che sono il più ricco, forse, il più bello, non lo so, fatto sta che Jane passa sempre prima da me e si porta dietro tutta la mercanzia. Assolderei una scorta, fossi in lui, Jane invece arriva sempre da solo. Si vede che si fida.
Comunque.
A Jane il mio cesso deve piacere un sacco, perché tutte le volte che viene qui almeno una pisciata se la deve fare. Sarà per la musichetta che ho fatto installare quando si tira l'acqua. Così gli rispondo: «Vai pure, Jane, la latrina lo sai dove sta». Lui sorride, si aggiusta i capelli - Jane porta la coda - quando torna, la prima cosa che vede è il tavolino. Il dosatore vuoto, che sgocciola sul tavolino. Vede me. A quel punto ha già fatto due più due. Prova a sorridere, povero cristo, il sudore che gli cola giù per la tempia.
Cinque secondi dopo è morto.
Non c'è sangue sul pavimento, l'ho colpito nel punto giusto. Di questo ringrazio sempre Minh Sang, ad alcuni noto come Minh delle stelle.
Dal mio divano osservo l'anima di Jane che se ne esce attraverso il soffitto, stile personaggio dei videogame. Che poi mi sento realmente, in un videogame. Mi sento come in quel gioco coi nazisti, Wolfenstein, quello che inizia in una prigione, con una guardia nazi morta per terra. Solo che qui non c'è nessuna prigione, c'è la mia suite imperiale al Waldorf Towers di New York, e c'è Jane, il mio ingenuo spacciatore italoamericano morto che mi fa da zerbino.
Prendo una sigaretta, me la infilo in bocca. Tiro su col naso e mi sembra di aver aspirato una balena, tanto casino fanno queste mie narici. Ma lo sentite che ho detto, lo sentite? Queste mie narici, ho detto, a me la Dark Gift mi fa diventare uno stracazzuto poeta maledetto, è così.
Accendo la sigaretta.
Certo, non c'è niente di giusto in quello che ho fatto, ma neanche in ciò che ho intenzione di fare.
Il cellulare sfavilla un'altra volta, a 'sto giro rispondo.
«Dimmi, Robbie», faccio, poi mi porto l'aggeggio all'orecchio e lo incastro nella spalla. La sigaretta mica si è accesa.
«Mark», fa Robbie, dall'altro lato. «Sono due ore che ti chiamo».
Guardo l'orologio. Le dieci e trentuno.
«Vola, il tempo», dico.
«Mark», dice Robbie. «Dove sei. Gary è preoccupato. Ti stiamo aspettando tutti, Mark».
Riaccendo la sigaretta, la Dark Gift prova a convincermi di avere in mano una torcia olimpica. Tossisco, sputo fuori il fumo, richiudo lo zippo e tutto torna normale.
«Credevo lo sapessi, Robbie», gli rispondo, «quali sono i miei progetti».
Dall'altro capo, il nulla.
Dopo un po': «Mark. Cristo».
Altro silenzio.
Basta silenzi. «È per il bene della musica», esordisco.
«Adesso ascoltami». Robbie ha la voce bassa, vibrante. «Mando Jay e Howard a prenderti, stupido drogato che non sei altro. Rimani dove sei e non fare stronzate, mi hai capito?».
Sento me stesso ridere. Ridere forte.
Quando spengo il telefono, Robbie sta ancora imprecando.
Le mie idee a lui non sono mai piaciute, certe cose non cambiano mai. Comunque, Robbie la fa facile: il vecchio leone è sempre in voga. Per noi quattro, per me e per gli altri, intendo, la cosa è un tantino più complicata. Persino per Gary, ma lui non lo ammetterà mai.
Siamo tipo legati, noi quattro, siamo chiusi nello scantinato del palazzo del successo. Madame Fortuna col suo vestitino rosso - ma due scarponi belli pesanti - non passa da un pezzo. Viene solo quando deve maltrattarci, la stronza, a tirarci calci sulle gengive.
Quaggiù noi anneghiamo, è evidente.
Appoggiato al balcone del mio terrazzo, guardo il telefono che si fa un tuffo di trentacinque piani, che si schianta da qualche parte giù in strada. Una frenata, un clacson.
È ora di andare.
Dicevo, non c'è nulla di giusto, ma qualcuno dovrà pur farlo.
Sto andando a prenderli, tutti e quattro.
Gli One Direction.
Avrete un sacco di amore, ragazzi, ma è arrivato il momento di capire quant'è profondo.
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Wonder Boy: The Dark Gift
FanfictionEsiste una realtà in cui Harry Styles è il sanguinario leader di un gruppo musicale chiamato "One Direction", e dove Mark Owen, il fallito e tossicodipendente membro dei "Take That", prova a ristabilire gli equilibri. E 'sticazzi, direte voi. Esatto...