1 capitolo

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È difficile ricominciare.
Ripartire dopo una caduta.
Abbattersi e poi trovare il coraggio di alzarsi.
È come quando sei piccolo e vedi i tuoi amici andare in bici e tu non sai.
Vuoi essere un bambino normale, vuoi imparare.
E quindi ci provi, ci provi, ci provi e continui a provare altre cento volte.
E per tutte e cento le volte arrivi al punto in cui basta poco e hai superato l'impresa, e cadi di nuovo.
E alla 101esima volta ti arrendi, ti metti a sedere accanto alla tua bici e l'unica cosa che ti resta da fare è guardare gli altri bambini che si divertono a fare ciò che tu non sei in grado di fare, e chiudi gli occhi e immagini a quanto sarebbe bello riuscirci perchè l'unica cosa che ti resta è l'immaginazione.
È così che mi sento adesso, dipendente dall'immaginazione, dalla fantasia.
Sono le uniche cose che mi restano per ricordare il suo volto, i suoi occhi, i suoi lineamenti.
Per ricordare la voce, la sua risata, i suoi movimenti.
Da quando Bread è morto io non esisto più.
Ricordo fottutamente bene il suo respiro affannato, le sue mani che tremavano, il petto che si alzava e si abbassava irregolarmente, le lacrime che bagnavano il suo viso.
Ricordo che mi diceva di aver paura ed io piangevo, sul suo corpo ormai troppo fragile.
Piangevo tenendo le sue mani pallide tra le mie, mentre il mio ragazzo moriva in uno stupido ospedale mentre il cancro gli mangiava ogni cellula che aveva in corpo.
Ricordo il fischio assordante di quell'insulsa macchina che mi avvertì della morte del mio unico amore.
Adesso le lacrime rigano insistentemente le mie guancie, proprio come fecero due anni, e da lì ad ora non passa giorno che il mio pensiero fisso non sia lui, e piango, piango per ore.
Mi dispero, mi distruggo piano piano.

"Lydia, è pronto" dice dolcemente mia madre attraverso la porta chiusa a chiave per allontanarmi dal mondo esterno.

"Non ho fame mamma, scusa" le rispondo con un filo di voce.

Sono le 8 e mezzo di sera e dovrei andare a mangiare, ma come al solito la voglia di volontà e la forza sia fisica che mentale mancano, e quindi me ne resto sul mio letto rannicchiata su un lato a ripensare a Bread.
Ad un tratto sento bussare alla porta e pensando sia mia madre mi affretto ad aprirle per dileguarla velocemente.
Ma appena apro la porta rimango colpita da chi mi ritrovo davanti.
Allison è davanti a me con il trucco brutalmente sbavato e gli occhi rossi, l'aria malinconica mista ad un po' di.. delusione?
Allison era la sorella di Bread, nonchè mia migliore amica.
Ma da quando Bread è morto io mi sono allontanata da lei dicendo che guardando lei rivedevo lui.
Ed era così, Bread aveva gli stessi occhi color cioccolato scuro di Allison, i suoi stessi capelli neri e la stessa carnagione molto chiara.
Si assomigliavano veramente tanto e quando guardavo la mia migliore amica rivedevo Bread ed era una sofferenza atroce.

"Ally, che ci fai qui?" Le chiedo non del tutto sicura e timorosa, come se avessi paura di saperlo.

"Cosa ci faccio qui? Lydia te lo stai chiedendo veramente?
Secondo te cosa sono venuta a fare?" Mi chiede fulminandomi con lo sguardo.
Vedo l'ira che percorre i suoi occhi, ancora più scuri del solito.

"Io..non lo so.
Allison ne abbiamo già parlato okay?
Non è il caso di.." cerco di spiegarle ma lei mi blocca.

"Lydia ti prego.." la sua voce è frantumata.
Sento che sta trattenendo i singhiozzi e quando alza la testa vedo i suoi occhi colmi di lacrime che cerca di trattenere senza alcun risultato.
Adesso non è più arrabbiata, è più altro triste.
Ha l'aria di qualcuno che è solo, di qualcuno che non vive più e che si limita a sopravvivere.
Ed è simplice riconoscere per me questa sensazione, dato che ci convivo.

Non ci penso un attimo e la tiro verso di me, racchiudendo il suo corpo tra le mie braccia e facendo finire la sua testa nell'incavo del mio collo.
Adesso non si trattiene più, non si sforza nemmeno di fare silenzio.
Piange, singhiozza ed urla a pieni polmoni.
Le sue lacrime colme di tristezza scivolano sulla mia spalla.
A quel punto scoppio pure io.
E devo ammettere che ne avevo estremamente bisogno.
Bisogno di piangere sulla spalla di qualcuno.
Avere qualcuno che mi capisce.
Condivedere il mio dolore a la mia frustrazione con chi già conosce quest'orrenda sensazione.
Non so per quanto tempo stiamo così, io che piango su di lei e lei che piange su di me.
So solo che ci addormentammo con gli occhi rossi e il cuore a pezzi.
Ma forse più sollevate, perchè adesso eravamo in due a sopportare un dolore immenso come quello.

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La sveglia.
Quella maledetta sveglia suona ancora.
Ciò vuol dire che è mattina, e se è mattina vuol dire che devo alzarmi e se devo alzarmi vuol dire che devo ricominciare un altro giorno dove mi sgretolo interiormente ogni istante di più.
Mi rigiro nel letto cercando la forza di alzarmi dal mio unico rifugio, quando un corpo mi impedisce di bearmi un altro po' di quel accogliente calduccio.
Istintivamente sbarro gli occhi.
Ma non appena riconosco chi dorme accanto a me mi rilasso.
Ridacchio nel vedere Allison che dorme beatamente come se fosse felice.
Ogni tanto aggrotta le sopracciglia, ma poi le distende subito.
La sua tranquillità invade anche me, e per un attimo sono felice.
Poi decido di svegliarla dato che dobbiamo andare a scuola.

"Ally.." la scuoto un po' mentre la chiamo dolcemente.

Niente.

"Ally" alzo leggermente il tono della voce continuando a scuoterla con calma.

Non da segni di vita.

"Allison alzati è tardi" le dico con una tonalità leggermente alta.

"ALLISON CAZZO ALZA QUELLA MERDA DI CULO CHE TI RITROVI E SVEGLIATI" le urlo, con un po' meno di delicatezza delle scorse volte.

Apre di scatto gli occhi e io scoppio a ridere nel vedere la sua faccia assonnata e disorientata in questo momento.

Nel vedermi ridere comincia pure lei e si unisce a me.

E questo è il primo momento di pace e serenità dopo due anni di inferno, e vorrei non finisse più.

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