Alle cinque. No, alle sette! Facciamo alle sei e tre quarti. Io arrivo alle venti e non muovo un dito. Ce l'hai della goiabada per il bolo de rosas? A che ora hai detto? Chi prende le coche, si ricordi che bevo solo pepsi. Alle quattro, giusto? Io vengo in bici e porto le uova.
Contenere così tanta anarchia si era rivelato impossibile quanto tentare di risolvere il conflitto in medio oriente. O accaparrarsi Parco della Vittoria al monopoli. A scelta. Ed infatti, che lo dico a fare?, dopo aver imposto l'orario delle diciannove per tutti, alle tre in punto è suonato il citofono: «Siamo un po' in anticipo e siccome fa un freddo cane saliamo a darti una mano». Saliamo chi?! Chi si era tirato dietro Pierre? Non bastava il nostro campionario del disagio sociale?!
Mi stavo affettando le punte dei polpastrelli assieme alla lattuga, quando Pierre mi sbuca tra le gambe, a mo' di Nessuno, seguito da una bella stangona che sfiorava il battente della porta. E non era l'altezza vertiginosa della gigantessa ciò che mi colpì di più, quanto la pelliccia che indossava: quell'enorme boa di struzzo sembrava fatto da sette strati di morbidezza variopinta.
«Mon ami, voila: lei è Berta, ma famme.»
Berta mi sventolò sotto il naso una serie di anelli che sarebbero stati meglio dentro un uovo di Pasqua. Anelli che, detto per inciso, fui costretto a baciare.
«Piacere mio. Anzi, enchan... Come dite voi?!». Berta sorrise. Poi, in un solo gesto atletico, scattò in avanti, afferrò il nanerottolo - Pierre - da sotto le ascelle e se lo appoggiò tra spalla e avambraccio. I due uscirono dalla cucina tubando come due inseparabili. Avevo appena realizzato che il loro saliamo a darti una mano era finito lì. «... Ehmmm... Sì, ecco! Fate pure come se....»
Suonò il timer del forno, a cui rispose il bip del tostapane. Un mail trillò nel cellulare e il campanello della porta fece dlin dlon. Poi venne di nuovo il timer, e il bip del tostapane, la mail sul cellulare e il campanello alla porta. E così a ripetizione, timer, bip, mail e campanello. A starci attenti sembrava una marcia di Radezsky diretta da Super Vicky. Il che mi incantò, fino a quando il timer non concluse, incazzato, con un lungo trillo. Mi ricordava che non solo rischiavo di bruciare il contorno, ma anche che, se non mi davo una mossa, non sarei riuscito a decorare nemmeno l'albero. E senza l'albero no. Anche se non è più Natale e quasi nemmeno più la Befana, senza albero no. Eh.
Avevo preparato a tempo record:
- antipasto di gamberetti in salsa rosa su foglia di lattuga, giusto per non allontanarmi troppo dalla fulgida tradizione anni '80;
- un sughetto delizioso di vongole veraci per le linguine, come da ricetta di papà palermitano;
- un'impepata di cozze.
Il secondo però mi mancava perché con le cozze mi erano finiti i soldi della paghetta mensile di nonna. Fu allora che ripescai l'idea del pesce finto, un piatto della Russia bolscevica – quindi maionese a volontà e tonno del mar morto – che sempre negli anni '80 passava per portata troppo chic.
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Le regole del buffet
General Fiction"Le regole del buffet" è uno special, un contenuto speciale (il primo di una serie) che intendiamo regalare ai lettori (lettori beta e futuri lettori) del nostro romanzo "anche solo Klop", di imminente pubblicazione. Ci trovate i personaggi e il "mo...