- CAPITOLO 1 -

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La sveglia suona e sono più rintontito di ieri. Non mi ricordo nemmeno quanto ho bevuto. Devo smettere o mi rinchiudono in una di quelle case per malati, e io non sono uno di quelli. Ma devo comunque smettere.
Scendo le scale di questa catapecchia che condivido con altri due miei amici, carlos e josh. Carlos è dell'Ohio ed è il classico e perfetto gay. Non sono omofobo, ma almeno contieniti un po. Deve capire che IO NON SONO GAY. Oh. Poi invece c'è josh, del Texas. Lui invece è un po più 'normale' rispetto a carlos, ma solo per come si veste sarebbe da rinchiudere in una clinica.
Arrivo in cucina e trovo Carlos che guarda la TV. Lui non c'era alla festa ieri sera. Peccato, s'e perso una festa fighissima. "Buongiorno" dico. "Buongiorno anche a te. Dormito bene?"chiede con aria preoccupata. Ma cosa si preoccupa a fare. Ah già, gli piaccio e quindi si preoccupa per me. "Si sì. I cereali sono finiti?", chiedo. "No, sono nella dispensa della cucina di josh, qualcuno ne è rimasto" ed esce dalla stanza per andare a prendere i cereali. Mi siedo sulla sedia davanti alla TV e inizio a fare un po di zapping. E puntualmente arriva josh. Non appena vedo la sua maglietta, giuro mi sono alzato di scatto. Ma che si può indossare una maglietta in questo modo? Ha una maglietta rosa con una taschina verde sul 'pettorale' destro. Basta, questo weekend si va a rifare il guardaroba.
Arriva Carlos con i miei cereali e finalmente posso fare colazione. Entrambi si siedono davanti a me e mi fissano. Ok Trevor, mantieni la calma. Odio le persone che mi fissano e odio essere fissato per tanto tempo in generale. Loro stanno facendo proprio questo, e mi stanno facendo incazzare. "Smettetela di fissarmi. Sapete che non mi piace", con tono minaccioso. "Trevor, dobbiamo parlarti, e seriamente" rispose Carlos con la sua solita espressione da angioletto preoccupato. "Via su, ditemi dove sta il problema". Odio le notizie brutte di prima mattina. Mi perseguitano per tutta la giornata e mi creano sbalzi di umore che dire frequenti sarebbe un eufemismo. "Patty Nelson è tornata a vivere qui, a Los Angeles". A queste parole, il mio cuore si fermò per qualche istante. Quella ragazza, Patty, è il peggiore dei miei incubi. O forse no, beh, uno dei peggiori, ecco. Patty è una ragazza più o meno della mia stessa età, capelli color platino che per guardarli ci volevano gli occhiali da sole, una pelle abbronzata e degli occhi color rubino. Dopo questa descrizione, una persona normale direbbe che sono pazzo a definirla 'un incubo'. Ma il bello arriva ora. Abbiamo fatto sempre la stessa scuola e all'inizio non mi dispiaceva nemmeno. Poi, verso il secondo anno del liceo, è cambiata. Iniziava a tartassarmi con domande del tipo 'che fai stasera?' o 'magari qualche volta potremmo studiare insieme, che ne dici?' e intanto si strusciava a me come un gatto al divano. Dopo qualche mese di scuse inventate per evitarla, non so come, ha capito il mio trucchetto. Ha iniziato a perseguitarmi. Mi inseguiva dappertutto e mi mandava messaggi ogni mezzo secondo. Divento piano piano una tortura dalla quale non potevo fuggire. Poi suo padre, per motivi di lavoro, si è dovuto trasferire nell'Ohio trascinando con lui tutta la famiglia, per fortuna mia. E così la mia vita tornò quella di prima. Fino ad oggi. "C..co...cosa? Ma perché?" Chiesi balbettando. "Suo padre è stato richiamato dalla ditta per cui lavorava prima e ovviamente si è trascinato con lui tutta la famiglia" mi spiegò Josh. Merda. No, no e no.

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