Prefazione: 1956-1967

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Avevo incontrato Chiara alla scuola elementare, nel 1956. Mi ricordo quella mattina come fosse ieri: la fresca brezza settembrina che mi scompigliava i capelli castani, il sorriso orgoglioso di mia madre mentre accompagnava me, i miei fratelli e le mie sorelle, le mura scolastiche, il caotico vociare dei bambini, il mio iniziale smarrimento...e la sua voce indimenticabile, così allegra e musicale come nessuna.
<<Io sono Chiara, e tu?>> Era piccola e magra, con le trecce bionde che le cadevano sulle spalle, gli occhi grandi, blu, profondi e intelligenti, lo sguardo allegro e un po' birichino, la bocca rosea aperta in un sorriso, i due denti davanti un po' più grandi degli altri, le mani lisce, le gambe magre e flessuose, il grembiulino bianco che le arrivava alle ginocchia, le scarpe nere, piccole e lucidissime. Sembrava un piccolo angelo.
<<Io mi chiamo Enrico...sono contento di conoscerti Chiara...>>
Lei allungò la mano e io, nel momento stesso in cui la strinsi sentii il desiderio di volere per sempre accanto quella piccola e angelica creatura dagli occhi blu.

Fu per pura casualità che finii nella stessa classe di Chiara ma il Destino volle che, finite le scuole elementari, nel '61, Chiara Alesi andasse a vivere in America con la famiglia.
Quando mi venne a dare quella notizia il mondo mi cadde addosso. Mi promise che saremmo stati amici per sempre ed io, in cuor mio, sperai con tutto il cuore di vederla presto. La grande amicizia che avevamo stretto si era trasformata in qualcosa di più.
Quante avventure avevamo passato insieme: avevamo passato giornate ad indagare su casi rocamboleschi che avvenivano nel nostro piccolo paese, oppure avevamo giocato nel piccolo parco a fare gli esploratori. Quanto avevamo fatto dannare i nostri cari genitori! Ma anche gli insegnanti, che ci avevano dovuto sopportare per cinque anni, con la speranza di un nostro miglioramento...
Quanti ricordi...

Iniziò così la nostra corrispondenza epistolare: ogni giorno ci scrivevamo lettere.

Iniziai le scuole superiori nel 1965, un anno dopo rispetto ai miei compagni. Avevo lottato per frequentare l'Istituto agrario perché mio padre aveva già deciso il mio futuro: avrei dovuto lavorare con lui, per lui.
Il mio animo fanciullesco aveva deciso di lottare e aveva vinto sull'austerità del mio severo genitore.
Frequentai l'Istituto fino al compimento dei 16 anni, poi, con il cuore a pezzi, lo lasciai per volere del Destino: il maggiore dei miei fratelli era morto e mio padre necessitava di me per lavorare la terra.

Dal '64 al '66 non ebbi più notizie di Chiara. Nel '67 mi arrivò una lettera. Era una lettera che proveniva da un luogo che non conoscevo: Tirana. Quando la lessi credetti di trovarmi in un sogno:

"Caro Enrico,
È passato tanto tempo dall'ultima lettera che ti mandai, nel lontano 1964...
Non ho scusanti valide da offrirti, amico caro, per questa mia grave mancanza.
Ti chiedo perdono per la mia improvvisa scomparsa dalla tua vita.
Avrei voluto parlarti a voce ma, come vedi, mi è impossibile. Ora mi trovo in Albania. Ti starai chiedendo il motivo di questo trasferimento improvviso: vedi, caro Enrico, mio padre e mia madre si sono separati, dopo un litigio furibondo, nel '64 ed io, abbandonata da mia madre, ho vissuto con mio padre fino a febbraio di quest'anno, data della sua morte. Mio padre mi proibiva qualsiasi contatto con l'Italia e, di conseguenza, con te. Con la sua morte sono dovuta partire, per andare a vivere da mia madre, albanese di nascita. Quindi ora sono qui, in un Paese del quale ho imparato in fretta lingua e tradizioni.
Siamo in aprile e i fiori, pian piano, si stanno aprendo.
Anche quando me ne sono andata in America in fiori si stavano aprendo, ricordi?
Io rammento i tuoi occhi tristi, spalancati.
Non ti ho mai dimenticato, sai?
In questi anni ho capito: senza di te non sono mai stata felice del tutto. A volte, dentro il mio animo, ti chiamavo, silenziosamente.
Mi sentivo bene ogni volta che leggevo le tue lettere, così poetiche che mi commuovevo ogni volta.
Oh Enrico! Sono stata così cieca, così "bambina" nell'animo!
Solo ora comprendo...come posso dire al mio unico amico che mi sono innamorata di lui? Me lo sono chiesta infinite volte, eppure il mio inconscio mai mi dava risposta...era tutto vano.
Ora, mio caro Enrico...ora tu sai la verità: io ti amo. Sì, ti amo, ti ho sempre amato e sempre ti amerò. Ora lo sai, amore mio...
Sono innamorata dei tuoi capelli neri, ribelli, amo i tuoi occhi scuri, pieni di bontà, amo le tue mani lisce, le tue braccia magre che celano agli occhi tanta forza, amo il tuo viso, amo ogni parte di te, ogni centimetro di te è a me gradito.
Sono certa che tu sei felice, ora, con una ragazza che non sono io...
Ti auguro la felicità, amore.
Tua, per sempre, in eterno,
Chiara Alesi"

Quella lettera mi aveva reso la persona più felice del mondo: Chiara mi amava. Chiara era innamorata di me. Non avrei dovuto più celare i miei sentimenti.
Corsi da mio padre e lo pregai di concedermi un viaggio. Ovviamente il mio austero genitore chiese la motivazione ed io, ragazzo inesperto della vita, risposi, euforico, felice come nessuno: <<vado a prendere la mia sposa>>. Ricordo ancora lo sguardo sorpreso, stupito, strabiliato, dei miei genitori. Rammento le lacrime felici di mia madre, i sorrisi delle mie sorelle, i visi stupefatti dei miei fratelli e, dopo tanti anni, il sorriso sincero di mio padre.
<<Vai a prenderla, figlio mio e, appena sarai tornato, celebreremo le nozze...ora vai...>>. Non mi chiese chi fosse la mia futura compagna di vita, non mi chiese dove si trovasse, non mi domandò nulla. Voleva vedermi felice, sistemato e con dei figli, con un onesto lavoro ed una casetta piccola in campagna.
Avrei dovuto affrontare un lungo viaggio fino alla stazione, prendere il treno, per raggiungere infine la donna della mia vita: Chiara Alesi.

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