Capitolo 1

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Driiiiin, driiiin
<<Ma dove cavolo sta! >> tasto con la mano il comodino alla ricerca della sveglia, o per meglio dire l'arma di tortura. Mi allungo un po di più per cercarla ma...
<<Aaaaaahh.. >> ecco sono caduto per terra, prendo la dannata e stupidissima sveglia e la spengo per poi lanciarla sul comodino.
Mi alzo con la coperta ancora arrotolata intorno al mio busto, la faccio scivolare lungo le gambe magroline e mi dirigo in bagno. Alzo gli occhi sullo specchio sopra al lavandino, guardo i miei capelli neri come la pece tutti arruffati, i miei occhi grigi ora arrossati dal sonno e le mie labbra carnose piene di ferite dal fatto che le mordo sempre.
Mi faccio una doccia veloce ed esco dal bagno con un asciugamano legato in vita, sto per toglierlo per vestirmi quando mia madre spalanca la porta della mia camera
<<Luke, dobbiamo fare la foto!>>
<<Mamma esci immediatamente! Sono nudo! >>
<<Oh capirai, sono tua madre ti ho visto nudo da quando sei nato>>
<<Mamma esci subito! >> sto praticamente urlando mentre spingo mia madre fuori dalla mia stanza.
Odio quando fa così e odio quel stupido rito della foto. Mia madre è fissata con il fatto che ogni primo giorno di scuola deve farmi una foto. Sto per iniziare il mio ultimo anno al liceo e ancora continua con questa storia.
Sospiro e mi dirigo verso il mio armadio del quale tiro fuori un paio di jeans e una camicia blu scuro. Mi vesto e mi aggiusto i capelli con un po' di gel, scendo e mi dirigo in cucina dove c'è, come sempre, mio padre che fa colazione, francamente non so quanto tempo passi a fare colazione, è sempre in cucina!
<<Buongiorno figliolo>>
<<Mm.. Si buongiorno >> prendo un toast e esco dalla cucina con l' intento di uscire di casa ma (purtroppo) mi imbatto in mia madre che ovviamente ricomincia a insistere per quella maledettissima foto.
<<Dai amore di mamma fatti fare una foto >> sta quasi supplicando
<<No mam.. >> incontro il suo sguardo supplichevole
<<Uff ok>> accetto sospirando e sorrido alla macchina fotografica e appena vedo la luce provenire da quella mi giro e apro la porta salutando con la mano mia madre. Salgo in macchina, mi appoggio al volante e chiudo gli occhi.
Devo tornare lì, devo tornare al posto che mi crea così tanta sofferenza, che mi faceva tornare a casa con le lacrime, lacrime che con il tempo sono diventate rabbia che riverso sui miei genitori e su tutti quelli che mi circondano, devo tornare in quella scuola dove tutti ridono di me e mi torturano con stupidi scherzi.
Riapro gli occhi e faccio un respiro profondo
<<Dai Luke ce la puoi fare >> cerco di incoraggiarmi ma nemmeno io ci credo a quelle parole... "Ce la puoi fare" quanto tempo è che non ce la faccio? Quanto tempo fa mi sono arreso? Non lo so più nemmeno io.. Credo che non ho mai iniziato a lottare..
Metto in moto e accendo la radio per distrarmi un po', anche se non funziona molto, continuo a pensare a un'altro anno di solitudine.
Dopo un po' parcheggio e scendo dall'auto, mi trovo davanti un grande edificio giallo, stranamente anche se è un istituto informatico è pieno di colore e opere d'arte.
Faccio un profondo respiro, prendo il mio zaino e mi incammino lungo il grande vialetto.
Appena entrato a scuola sguardi divertiti mi scrutano, diverse persone si girano e ridacchiano, cerco di non darci peso e di continuare a camminare a testa alta. Vado in segreteria per richiedere il numero del mio armadietto e la rispettiva combinazione. Una donna vestita di nero con lunghi capelli biondi raccolti in un tuppo laterale (si capisce che sono molto lunghi dalla grandezza del tuppo) e con due occhi grigi che somigliano molto ai miei, è seduta dietro il computer. Anche lei, come tutti gli altri, mi ignora totalmente.
Cerco di attirare la sua attenzione schiarendomi la voce ma ovviamente non mi degna di uno sguardo..
<<Em.. Signora.. >> la mia voce è flebile e insicura, forse è impegnata, forse dovrei tornare dopo ma mi serve davvero la combinazione! Ci riprovo << Signora mi scusi >>
<<Signoraaa>> sto praticamente urlando, la donna scocciata sospira e alza lo sguardo su di me
<<Si? >>
<<Dovrei avere la combinazione>>
<<Mm si.. Nome prego>> la donna è a dir poco scocciata e non capisco nemmeno il perché, non capisco mai perché le persone si comportano così con me..
<<Me lo vuole dare il suo nome?>> la voce scocciata della segretaria mi distoglie dai miei pensieri
<<Em si mi scusi mi chiamo Luke Anderson>>
<<Ok.. >> la donna digita qualcosa sul computer e poi torna a parlare consegnandomi un foglietto
<<Ecco a lei, il suo armadietto è il 251 e la combinazione è 2532>>
<<Grazie signora >>
<<Mm-mm >>
Sospiro e mi dirigo verso il mio armadietto, controllo l'orario e ovviamente tanto per far andar peggio questa giornata (anche se ogni giornata va male) la prima ora ho matematica con Mrs Gallagher, la prof più dura dell'istituto, si dice che molti ragazzi abbiano iniziato a prendere gli ansiolitici per colpa sua.
Mi incammino verso le classe con il cuore che batte fortissimo. Le persone (anche se non capisco il motivo) mi odiano a prescindere, se è anche così cattiva come si dice sono spacciato.
Arrivato ormai davanti alla classe prendo un grosso respiro ed entro, nell'aula ci sono solo due ragazzi che parlano tra loro e ridacchiano, in un banco più in la invece c'è una lunga chioma ramata, non riesco a scorgere il volto della proprietaria di quella chioma così bella perché il suo capo è chino su un libro che sta sottolineando con un evidenziatore verde fluo. Prendo posto a due banchi di distanza dalla ragazza e inizio a tirar fuori i miei libri. Suona la campanella ed entrano altri ragazzi seguiti dalla prof, una donna vestita interamente di nero, i suoi capelli rosso - arancio sono sciolti ed arrivano fino alle spalle, gli occhi marroni sono contornati da degli occhiali neri come il vestito che indossa. Ha guance piene di lentiggini e un corpo magro e tonico.
È una bella donna e non sembra tanto terribile come dicono
<<Ragazzi io sono Mrs Gallagher, questo è quello che dovete sapere di me, io di voi non saprò e non mi interessa sapere niente se non il vostro andamento con questa materia, quì imparerete la matematica come si deve quindi ovviamente è un corso duro, se non ve la sentite quella è la porta, se rimanete voglio il massimo impegno o vi caccerò io stessa da questa classe>> ok mi rimangio tutto quello che ho detto, è davvero terribile.
La prof inizia a spiegare e io prendo appunti come non ho mai fatto prima, mi voglio impegnare veramente in questo corso. La campanella che segna la fine della lezione suona e finalmente posso uscire.
La giornata trascorre abbastanza tranquilla tra lezioni di storia, arte e letteratura. Ora è ora di pranzo, il momento che odio di più. Mi incammino verso la mensa e intanto il mio cervello pensa a tutti i brutti scherzi che potrebbero farmi, anche se c'è una piccola parte di me che vuole credere che non sarà così, che quest'anno mi lasceranno in pace o almeno il primo giorno di scuola, che quest'anno non cadrò in qualche tranello orribile o che se ci cadrò avrò la forza di rialzarmi, di reagire.
Arrivato alla mensa entro cercando di non dare troppo nell'occhio, prendo il vassoio con il mio "cibo" (per modo di dire, quella poltiglia è tutto tranne che cibo) e mi dirigo verso un tavolo vuoto che sta in un angolino della stanza. Prendo gli appunti di matematica e cerco di capirci qualcosa mentre provo ad ingerire la poltiglia grigia che ho nel piatto. Inizialmente è tutto tranquillo, i ragazzi sono ai loro tavoli a ridere e prendersi in giro e io sto al mio tavolo isolato a ripassare, ma questa quiete ovviamente non dura molto, infatti eccolo arrivare, Oliver Ostin, capitano della squadra di baseball, bullo più temuto della scuola, insieme ai suoi scagnozzi (di cui non so il nome e non mi importa saperlo)
<<Ehi ragazzi guardate chi c'è, sfigy>> non alzo lo sguardo ma continuo a leggere gli appunti
<<Che fa non mi saluti? È per il soprannome? Non capisco il motivo è così carino, sfigy l'abbreviativo di sfigato>> i suoi tirapiedi si mettono a ridere così alzo lo sguardo
<<Tti.. Pre.. G.. Go di andart.. Tene.. >> la mia voce trema, troppo e questo lo diverte si vede dal suo sguardo
<<Oh ma certo piccolo balbuziente ogni tuo desiderio è un ordine >> così dicendo si avvia verso la porta alle mie spalle con un sorrisino sul viso che non promette nulla di buono, infatti... Splash! Guardo il mio corpo tutto bagnato, la mia camicia ora diventata nera, i miei jeans completamente zuppi
<<Ops, scusa sfigy sono inciampato >> guarda i suoi "amichetti" <<Be credo che tutti siamo inciampati>>poi scoppia in una fragorosa risata seguito dai suoi stupidi tirapiedi e dal resto della mensa.
Quello stupido di Oliver e tutti i suoi scagnozzi mi hanno versato il loro succo addosso e per cosa? Solo per divertimento, solo per vedere la mia reazione.
I miei occhi si velano di lacrime e il mio labbro comincia a tremare, ma non voglio piangere quì, non davanti a lui, non davanti a tutta la scuola.
Prendo le mie cose e corro fuori dalla mensa, fuori da quella scuola che non fa altro che procurarmi dolore.
Salgo in macchina e comincio a guidare, le lacrime minacciano di uscire ma le ricaccio indietro, non voglio piangere, non ancora. Non so dove sto andando so solo che sto guidando da dieci minuti ormai.
Dopo altri venti minuti mi fermo e parcheggio, scendo dall'auto e inizio a guardarmi attorno, mi trovo sotto un grande albero, davanti a me c'è un enorme edificio grigio, lo riconoscerei ovunque, è il mio vecchio asilo.
Mi appoggio all'albero e scivolo piano piano mentre le lacrime mi rigano le guance. Continuo a piangere sempre più rumorosamente fino a che il mio pianto non diventa isterico.
Non so perché sono venuto quì, forse per fare un passo indietro, per ritornare con i ricordi a quando ero ancora fuori da quel edificio, ancora felice e spensierato, prima che tutto questo cominciasse. O forse è semplicemente stato il primo posto a cui ho pensato, non lo so...
So solo che questo albero sta accogliendo le mie lacrime, il mio dolore, questo albero accoglie tutto di me.
Da ora in poi questo sarà il mio albero, il mio albero della solitudine

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