Prologo

275 4 0
                                    

<Perché temiamo l'oscurità, quando la luce ci svela ancor più il regno degli incubi?>

Ascoltavo i passi sopra di me, sempre più vicini. Tremavo, per un riflesso istintivo. Ogni fibra del mio essere urlava, ogni senso mi allertava del pericolo imminente. Il tanfo dell'ambiente umido mi inondava le narici, come se ci fosse un cadavere putrescente lì accanto. Mi sanguinavano le mani: tenevo le unghie conficcate nei palmi, le dita dolorosamente serrate fino a sbiancare le nocche.
Lo sentivo, ormai. Portava i soliti stivali, ed era come se l'inferno stesso lo trascinasse verso di me. Li indossava per torturarmi la mente: stivali da motociclista, con la suola spessa. Quando veniva da me, però, non udivo mai il rombo di una moto. Di lì a poco il fiato nauseabondo di un mostro in carne e ossa mi avrebbe sussurrato all'orecchio, spiegandomi che anche le creature partorite dall'inferno sono in grado di provare sentimenti, di amare.
Non credevo alle sue bugie... e chi l'avrebbe fatto?
Non riuscivo più a respirare, mi restava una manciata di secondi. Era forse questa la fine, la mia fine? L'ambiente buio fu inondato da una luce innaturale, e una figura si stagliò come una sagoma mortale. Non era certo la prima volta che ci incontravamo, eppure non riuscii a soffocare il gemito che mi sfuggì dalle labbra screpolate e sanguinanti. Mi succedeva ogni volta che vedevo cose inspiegabili. Dovevo trovare la forza necessaria, o non mi sarei mai liberata di quella maledizione.
Era giunto il momento.
Il tempo era finito.
I bordi affilati che stringevo mi affondavano nei palmi delle mani, scivolose per il sudore freddo. Udii un altro passo, ma non mi girai. Senza guardarlo in faccia, feci quel che dovevo.
«Addio» dissi con un filo di voce, prima che la mia vista si riempisse di sangue.

Aprii gli occhi di colpo: ero vigile. Mi ci volle un momento per capire dove mi trovavo. Notai gli altri passeggeri, che avevano assistito attoniti al mio risveglio improvviso. Su un volo transoceanico è normale che siano tutti un po' nervosi, e una passeggera che si drizza a sedere di scatto suscita per forza qualche occhiata allarmata. Ero inspiegabili. Dovevo trovare la forza talmente abituata a quelle reazioni che per me erano ormai diventate una seconda natura; il torpore delle membra non era una sensazione nuova, così guardai fisso davanti a me come se intorno non ci fosse nessun altro.
Mi strofinai le braccia con gesto meccanico ripensando ai particolari del mio incubo ricorrente e fui assalita da un senso di nausea. Un sentore di bile mi riempì la bocca, amaro retrogusto che gli incubi non mancavano mai di lasciarmi. Naturalmente nella realtà non era andata come nel sogno, ma la mia mente lo riproponeva sempre allo stesso modo, per quanto inesatti fossero i particolari.
«Hai avuto un incubo, tesoro?»
Sobbalzai sul sedile: era la prima persona che mi rivolgeva la parola dopo ore. Una signora grassoccia, con i capelli grigi e una maglia a fiori, mi sorrise in attesa delle uniche parole che fui in grado di dirle.
«Sì, qualcosa del genere.»

AfterlifeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora