7. PREPARATIVI

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Quando mi svegliai, la notte stava sfumando nel chiarore dell'alba. Mi stropicciai gli occhi, domandandomi cosa avessi sognato. Con uno sbadiglio mi tirai su a sedere e continuai a stiracchiarmi, finché non sentii un tonfo. Era la mia copia di Jane Eyre , che era caduta per terra. Dovevo essermi addormentata leggendo. Strano che non mi ricordassi niente.
Guardai l'orologio. Erano le sei e mezzo. Mi alzai, e il freddo della stanza mi fece venire voglia di tornare sotto le coperte. Mi precipitai in bagno scalza, decisa a rimettermi a letto il prima possibile. Se solo avessi avuto un paio di ciabatte. La casa era ancora immersa nel silenzio e io non avevo alcuna fretta di cominciare la giornata, soprattutto in quel clima. Sembrava che la stagione fosse cambiata durante la notte. Rabbrividii notando il ghiaccio agli angoli della finestra e sperai che il letto fosse ancora caldo.
Sgusciai sotto le coperte, attenta a non disperdere il calore. Presi il libro e notai qualcosa infilato tra le pagine. Scossi la testa incredula: era il fermaglio per i capelli che credevo di aver perso. Quando aprii il volume, però, mi accorsi che la punta di metallo era stata posizionata in modo da richiamare la mia attenzione su un brano. Lo conoscevo, quel brano, anche se non ero ancora arrivata fino a quella pagina.
Un impulso mi trattenne... una forza mi fece voltare. Dissi... o forse qualcosa dentro di me parlò, senza che io lo volessi, dicendo: «Grazie, signor Rochester, per la vostra gentilezza. È strano, ma sono felice di tornare da voi. E ovunque voi siate, quella è casa mia... La mia unica casa».

Fissai a lungo il libro aperto, chiedendomi come mai fosse segnata proprio quella pagina. La mente mi stava giocando brutti scherzi: mi sentivo come se avessi trascorso gli ultimi due giorni sognando. Cercai di ricordare cosa avevo fatto il giorno prima, ma la mia memoria era vuota. L'ultima cosa che ricordavo era l'incontro con RJ al centro commerciale, e poi la chiacchierata con Libby durante il viaggio di ritorno. Nient'altro. Cosa diavolo...?
Presi un paio di calzini pesanti da un cassetto e li infilai prima che i piedi diventassero due blocchi di ghiaccio. Attraversai il pianerottolo e mi avviai per le scale, cercando di fare meno rumore possibile. Arrivata in cucina, accesi la luce e mi diressi verso il frigorifero: tirai fuori il latte e lo posai sul tavolo insieme a ciotola e cucchiaio, poi partii a caccia di cereali. Trovai una scatola di Captain Crunch, e mi dissi che valeva la pena assaggiarli. Accesi il gas sotto il bollitore e lasciai cadere una bustina di tè in una tazza, completando così la mia colazione.

Libby entrò in cucina con una vestaglia felpata e ciabattine intonate: sembrava un marshmallow rosa, ma di certo non soffriva il freddo.
«Carina!» esclamai, accennando alla sua mise.
«Allora, come hai dormito?» mi chiese, sedendosi di fronte a me con ciotola e cucchiaio.
Quasi sempre sul fianco» ridacchiai.
«Ah, molto divertente. Sai cosa dicono riguardo al sarcasmo, vero?»
«"Somma forma di arguzia..." e non ricordo il resto» ribattei, mentre mettevo la tazza nel lavello dopo aver spazzato via la colazione a tempo di record.
«Già, e "infima forma di intelligenza". Guarda che abbiamo la lavastoviglie!»
Era così naturale scherzare con mia sorella. Come facevamo prima dell'"incidente", prima che apparissi così fragile agli occhi di tutti. Immaginai di essere nella cucina di casa nostra, a battibeccare su chi di noi due doveva lavare i piatti dopo cena. Sorrisi e Libby lo notò.
«Cosa stai pensando?» mi chiese, guardandomi come se volesse continuare lo scambio di battute.
«Niente, ero persa nei ricordi. Oggi vai in ufficio?» domandai, per argomento.
« Mmm ... no, ma...» Non finì la frase e mi guardò con aria colpevole.
«Tranquilla, puoi andare. Sto bene, e poi devo prepararmi per la grande serata.»
Le feci l'occhiolino, sperando di nascondere il mio scetticismo.
«Ah, sì, gli Acid vattelapesca . Auguri!» aggiunse, sarcastica.
Libby amava un genere musicale "più delicato". Io, invece, non prendevo nemmeno in considerazione la musica che ti rendeva pensierosa e malinconica; preferivo quella che ottenebrava i sensi e il cervello.
Un tempo avevo ascoltato musica di tutti i tipi, dal rock'n'roll degli anni Sessanta alla classica, dal pop al rap e al punk. Ma avevo smesso di farlo quando le cose erano "cambiate".
Adesso mi piacevano i pezzi assordanti, dove distinguevi a stento le parole.
«Si chiamano Acid Criminals, e che siano piuttosto raffinati .»
Pronunciai quest'ultimo aggettivo con un affettato accento inglese, e Libby non riuscì a restare seria.
Scoppiammo a ridere.
«Be', te lo ripeto, auguri! Ehi, ma non hai detto che RJ ha un fratello?» Mi guardò con aria sorniona.
«Sì, ma non mi interessa. Lo sai che non voglio uscire con nessuno» replicai con fermezza, perché le fosse chiaro una volta per tutte.
«Ok, ok, era solo per dire. Sai che qui vanno pazzi per l'accento inglese.» Alzai gli occhi al cielo.
« Mmm ... in tal caso dovrò esercitarmi con quello americano.»
Stavo per salire in camera, quando la sentii chiedermi qualcosa. Mi fermai sul pianerottolo e tornai indietro di qualche gradino. «Cos'hai detto?»
«Hai trovato il tuo libro?» ripeté con la bocca piena di cereali.
« Perché, l'ho perso?» Ero confusa. Era stata Libby a prenderlo e a infilarci dentro il mio fermaglio?
«Ma sì, ieri. Mi hai chiesto se l'avevo visto, ricordi?» Mi fissò con aria preoccupata.
Sinceramente, non ricordavo nemmeno di averglielo chiesto. La mia mente era una pagina bianca.
Libby mi guardava allarmata, così decisi di mentire. «Ah, sì, scusa. Era finito sotto il letto, mi sono dimenticata di dirtelo.» Sorrisi, recitando la parte della sbadata, ma le mie doti di attrice erano molto scarse.
In ogni caso, mia sorella sembrò soddisfatta della risposta.
Una volta in camera, esaminai il libro. Lessi più volte l'intera pagina cercando di darle un significato. Era la parte in cui Jane tornava dal signor Rochester dopo la morte della zia. Jane si sentiva a casa. Dovunque fosse Rochester, si sentiva a casa. Il pensiero indugiò nella mia mente come un ricordo smarrito nella nebbia. Alla fine smisi di arrovellarmi e conclusi che era una semplice coincidenza.
Mi infilai i jeans larghi, una maglia grigia a doppio strato con la manica lunga e una maglietta color prugna. Poi indossai un cardigan di qualche taglia di troppo e decisi di alleggerire il fardello dei lavori domestici di Libby. Cominciai dal bagno, l'unica altra stanza nel sottotetto a mia completa disposizione.un Aveva solo il water e il lavandino, ma era abbastanza spazioso da ospitare una vasca. C'era anche una grande credenza, che sembrava piuttosto un armadio imbiancato, dall'odore antico. Si armonizzava a meraviglia con il resto della stanza, e capii perché Libby lo aveva messo lì: era capiente a sufficienza da contenere tutti gli asciugamani e le lenzuola che potevano servirmi. In un angolo, le mensole vuote aspettavano che le riempissi con le mie cose.
C'era anche uno splendido specchio appeso sopra il lavandino. La cornice di legno, con il bordo superiore arcuato, era verniciata di bianco. Alla base c'era una mensolina con una candela. In quel momento rifletteva il mio viso, bianco come la cornice. I capelli biondi accentuavano il pallore, mettendo ancora più in risalto gli occhi. Oggi erano scuri come un cielo tempestoso. A detta di tutti, i miei occhi erano particolari: certi giorni erano di un azzurro intenso, ma il colore variava a seconda dell'umore. Ultimamente sembravano più neri che blu.
Quando Libby arrivò, avevo appena finito di pulire il lavandino. Era favolosa nel suo tailleur nero, giacca attillata e cintura alta. Indossava tacchi vertiginosi, dai quali io sarei miseramente caduta.
«Stai benissimo.»
Mi sorrise e si sistemò un ricciolo ribelle nello chignon. «Grazie. Non ti dispiace se vado in ufficio, vero? Purtroppo questo cliente ha anticipato la data...»
«Non devi darmi spiegazioni, ti ho detto che sto bene.» Avrei voluto abbracciarla, ma i miei guanti di gomma che odoravano di varechina non erano adatti al suo completo nero. «Sfaccenderò un po', e dopo forse inizierò a leggere il materiale per la prossima settimana.»
Non era una bugia, allora perché non suonava convincente? Non vedevo l'ora di iniziare a lavorare e a frequentare il college; cominciavo seriamente ad annoiarmi.
«Ok, ora devo andare. Frank è già uscito, quindi hai la casa tutta per te. A che ora ti vedi con la "Goth Gang"?»
«Non lo so ancora. Appena mi chiama RJ, ti faccio uno squillo sul cellulare.»
«A proposito, stai attenta all'accento.»
«Certo, non voglio che la gente del luogo accorra in massa sapendo che c'è una straniera in città!»
«No, credo che in città siano più preoccupati per gli altri nuovi arrivati, decisamente più inquietanti.» Lo disse in tono cupo e non stava scherzando.

Passai il resto della giornata cercando di tenermi impegnata. RJ mi telefonò per avere conferma della serata. Credo che fosse elettrizzata al pensiero di dover curare il mio debutto in società. La società del "rock goth", sia ben inteso. A essere sincera, mi sarebbe andata bene qualsiasi cosa. Avevo solo bisogno di uscire e, pur di farlo, mi sarei iscritta anche al circolo degli scacchi! E dopo tutti quei piccoli incidenti legati ai miei sogni a occhi aperti, l'ultima cosa che volevo era restare in casa da sola e lasciare che l'immaginazione sfuggisse ulteriormente al mio controllo.
Dopo aver telefonato a Libby per informarla dei miei piani per la serata, finii di preparare la cena. Avevo cucinato uno stufato, perciò non avrebbero dovuto far altro che infilare la teglia in forno. Persino Libby sarebbe riuscita a gestirlo senza farlo bruciare.
Decisi di fare una doccia e prepararmi. Non volevo attirare l'attenzione vestendomi in modo inadatto, così avevo chiesto a RJ cosa avrebbe indossato quella sera. Per me fu un vero sollievo scoprire che l'Afterlife non era uno di quei club con un "codice di abbigliamento" rigido: quindi potevo mettermi i vecchi jeans, che non erano larghi come quelli che portavo di solito.
Li avrei abbinati a un top nero a manica lunga con una scollatura a "V" impreziosita da pizzo nero. Era un regalo dei miei genitori, acquistato durante una vacanza in Spagna: aveva un qualcosa di gitano che gli conferiva un gusto rétro. Mi avrebbe dato quel look alternativo a cui aspiravo.
Era piuttosto aderente e metteva un po' troppo in evidenza la mia figura, così lo coprii con una maglia nera con i bordi rossi e il cappuccio. Quest'ultimo mi avrebbe protetto dal freddo della notte, nel caso avessimo dovuto fare la fila per entrare nel locale. In più, le maniche lunghe mi arrivavano fino alle nocche, così non ero costretta a mettere i guanti.
Anche se ormai erano una sorta di "coperta di Linus" e temevo di sentirmi a disagio senza, abituata com'ero a portarli. Magari avrei messo quelli più corti, che arrivavano poco oltre i polsi.

Come sempre, avevo impiegato un sacco di tempo ad asciugarmi i capelli: erano talmente lunghi e folti che tutti si giravano a guardarli. Un tempo apprezzavo i complimenti che attiravano, ma ora volevo solo nasconderli. E stasera non avrei fatto eccezioni.
Li raccolsi dietro la nuca e li fissai con il fermaglio di metallo, poi infilai una semplice fascia nera per tirare indietro le ciocche più corte e la lunga frangia: un'acconciatura che ormai eseguivo alla perfezione. Esaminai il risultato nello specchio della camera e ne rimasi soddisfatta. Un look né troppo appariscente, né troppo "straniero".
Libby era in cucina a finire la cena. La trovai che faceva la scarpetta nel sugo con la baguette che le avevo ricordato di comprare. A quanto pare, lo stufato era stato di suo gradimento.
«Altro che fast food!» dissi, sedendomi al tavolo con lei. Era sul punto di rispondermi con una battuta sarcastica, glielo leggevo negli occhi, ma gli ultimi resti di stufato reclamarono la sua attenzione.
Mi piaceva vedere la gente gustare il cibo. Mi era sempre piaciuto cucinare, sin da quando mio padre mi aveva insegnato a preparare la torta di patate con il purè avanzato. Papà tirava fuori la videocamera, e io fingevo di essere un grande chef che illustrava la ricetta davanti all'obiettivo. Fui conquistata da pentole e fornelli al punto tale che tutti, me compresa, pensavano che ne avrei fatto la mia professione. Ma poi fu la storia, un'altra mia passione, a monopolizzare il mio interesse.
«Era delizioso, grazie. A Frank piacerà moltissimo, ne sono sicura. Posso dirgli che l'ho cucinato io e guadagnare un po' di punti a mio favore?»
«Perché? Ne hai forse bisogno? Frank ti adora.» Le tolsi il piatto, altrimenti avrebbe finito per mangiare anche la decorazione.
« Mmm ... ce n'è ancora?»
Mi diressi verso i fornelli e le riempii di nuovo il piatto con una cucchiaiata generosa.
«Solo se ce n'è abbastanza per Frank.» Quest'ultima dichiarazione giunse quando si era già tuffata nel caldo impasto di carne e verdure.
«Tranquilla, ce n'è per tutti. Comunque, non hai risposto alla mia domanda.»
«Quale?» chiese con la bocca piena.
«I punti a tuo favore.»
«Be', adora me, ma non i miei piedi, e io farei qualsiasi cosa per un bel massaggio, dopo una giornata con quelle scarpe. E lui ha quelle mani così grandi e forti, capisci...»
«Ok, ok, ho afferrato il concetto! Risparmiami i particolari» dissi, mimando scherzosamente un moto di nausea.
«Stai bene vestita così. Perché non ti sciogli i capelli? Anzi, meglio di no, con questo tempaccio.»
Non portavo mai i capelli sciolti, lo sapeva bene. O forse pensava che dopo essermi trasferita a Evergreen sarei tornata quella di prima?
«Non ceni?»
«Ho mangiato qualcosa prima» mentii.
Fortunatamente, mia sorella era tutta concentrata sullo stufato e non se ne accorse. In realtà, avevo cercato di mangiare qualcosa, ma ero troppo nervosa.
Libby accennò all'orologio appeso alla parete, e io lanciai un'occhiata terrorizzata in quella direzione.
Le mie paure furono confermate: era quasi ora di andare.

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