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“E’ strano, le dicevano.
E’ strano.
E’ strano che tu ne parli sempre, che tu lo possa amare, che tu ci stia così male.
E’ strano che non si faccia mai vedere, che ti faccia piangere, che tu stia sempre attaccata a quel cellulare e che quel cellulare non suoni mai.
Avevano ragione, e lei lo sapeva. Era strano.
Era da quando si erano incontrati la prima volta che tutto aveva iniziato ad andare in modo “strano”.
Non avrebbe potuto di certo accusarlo di essere stato bugiardo, o di aver fatto promesse che poi non aveva mantenuto, o di averla illusa.
Mai.
Lui aveva sempre avuto gli stessi occhi, un po’ duri e un po’ troppo ironici per lei che si reggeva a malapena in piedi assediata da tutte le sue paure.
Lei invece li aveva cambiati i suoi occhi per lui, a un certo punto aveva iniziato a brillare. E come non accorgersene? Come?
A lei brillavano gli occhi, lui aveva lo sguardo spento.
Però passavano il tempo insieme, perché era una di quelle cose che era bello che fosse iniziata, perché il tempo passa bene, e ci si trova bene, e ci si bacia bene e allora perché darci un taglio?
Che strano, è così strano che uno non sappia dare un taglio a qualcosa che non lo rende felice.
E’ strano, eppure succede. A lei era successo.
Si era innamorata e lo amava di quegli amori storti che se si potessero dipingere sarebbero un quadro che lo guardi e pensi che non ci si capisce niente, che l'artista doveva essere drogato, che non ha senso.
Invece per lei il senso c'era: guardarlo.
Sentirlo parlare.
Farlo innamorare.
Uno ci prova, e resta lì, e non dice di no e fa l'amore anche se l'altro fa palesemente sesso e comunque non si scoraggia, perché peggio di amare e non essere amati c'è soltanto amare e rassegnarsi.
Lui non l'abbracciava spesso, non le chiedeva mai com'era andata la sua giornata, non le faceva complimenti all'improvviso, non le spostava i capelli dalla guancia.
Solo che a volte, A VOLTE, le parlava con una dolcezza che la faceva ben sperare. A volte buttava lì una frase, una cosa tipo “sei una persona veramente eccezionale” o “mi hai tranquillizzato” e allora lei iniziava a rimuginare, a crederci un po’ di più.
Bastava una sua parola e lei ritrovava dentro di sé valanghe d'amore, ‘ché se sei innamorato basta poco per azzerare i conti, per tornare a quel momento in cui “io ti amo, e se anche tu mi ami posso dimenticarmi tutto quello che (non) è successo fino ad ora”.
Lui non le raccontava mai di quando era bambino, di come era sua mamma, di come era la sua prima ragazza. Le parlava di tutto e di nulla, non andava mai troppo a fondo.
O quasi.
E quel quasi la destabilizzava.
Certo è strano, dicevano…dovresti distrarti, pensare ad altro, cercare qualcuno che senta le stesse cose che senti tu.
Avevano ragione, lei lo sapeva.
E’ che lei lo amava, e che giustificazione sciocca è? Come poteva amarlo se lui non si lasciava nemmeno accarezzare i pensieri?
Lui entrava dentro di lei, ma lei non riusciva a entrare dentro di lui.
E’ andata così per molto, molto, troppo tempo.
Finché un giorno lui non ha deciso di smetterla, perché voleva di più, perché voleva sentirsi vivo, perché perché perché.
Un cimitero di speranze addosso, lei lo amava, e che giustificazione sciocca è?
Lui no.
Lui no.
Solo che lui, a volte, le prendeva la mano.
A volte rideva come se non fosse mai stato felice in vita sua.
A volte le guardava la bocca.
E lei, per quelle volte, non poteva arrendersi.
Strano, ma vero.”

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