Tre racconti

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*Dieci poveri negretti*
*se ne andarono a mangiar:*
*uno fece indigestione,*
*solo nove ne rastar.*

Se ne stava seduta su quella piccola sedia a dondolo, sempre, e dondola,  sempre, a faceva la maglia, sempre. Quanti anni contava? Ah, cento, era un secolo, da quando la donna era nata nel 31 Dicembre 1900, e quella stessa notte festeggiava da sola il suo centesimo compleanno.

*Nove poveri negretti*
*fino a notte alta vegliar:*
*uno cadde addormentato,*
*otto soli ne restar.*

Elizabeth Shorts era un'aspirante attrice caduta in disgrazia, una donna che ormai aveva perso tutto, una donna che ormai aveva perso ogni speranza. Per colpa sua. Wendy Winters, con ogni probabilità la donna più influente degli anni '40, aveva infangato la memoria della famiglia di Elizabeth. La aveva chiamata strega. La aveva chiamata traditrice. 
Certo, le accuse non erano sbagliate, la signora Shorts di fatti era in grado di preparare diverse pozioni, era talmente brava che pure Elizabeth pensava fosse una strega.

*Otto poveri negretti*
*se ne vanno a passeggiar:*
*uno, ahimè, è rimasto indietro,*
*solo sette ne restar.*

La giovane coppia vestita in abiti degli anni '70, George e Molly, era seduta sul prato.
Quando George si allontanò per un secondo, Molly fu distratta da... qualcosa...

*Sette poveri negretti*
*legna andarono a spaccar:*
*un di lor s'infranse a mezzo,*
*e sei soli ne restar.*

Elizabeth pensava alla sua carriera rovinata, a ciò che avrebbe potuto essere e che invece non fù, quando sentì uno scrosciare...
Aveva iniziato a piovere, la cosa più strana era che giusto dieci minuti prima - e qui Elizabeth aveva guardato l'orologio - c'era uno splendido sole. Guardando fuori dalla finestra Elizabeth notò il bel tempo di dieci minuti fa. O per lo meno, un tramonto sul mare mozzafiato.
Allarmata dal continuo scricchiolare,  la ragazza guardò dietro di sé, poi avanti, a destra, sinistra, ma non vide altro che buio, il buio di un posto dove è appena saltata la luce.
Elizabeth decise di immergersi nel suo caldo letto di piuma e abbandonarsi alla tranquillità della notte, ma i continui rumori provenienti dalla sua casa per niente vecchia le infondevano tale paura che non riuscì a far altro che coprirsi e tremare sotto le coperte terrorizzata.

*I sei poveri negretti*
*giocan con un alvear:*
*da una vespa uno fu punto,*
*solo cinque ne restar.*

Dondolandosi sulla sua sedia velocemente, la vecchia MaryUnice  tesseva bisbigliando parole in greco o latino, avanti e indietro, questa era la tiritera del momento.

*Cinque poveri negretti*
*un giudizio han da sbrigar:*
*un lo ferma il tribunale,*
*quattro soli ne restar.*

Elizabeth fù sopraffatta da un suono, e davanti a lei, splendente come la morte, spaventoso come un fantasma, stava dritta in piedi una figura bianca mortale con un brillante ma sbilenco sorriso, con zanne al posto dei denti e un coltello insanguinato. Elizabeth pensò subito che fosse il più orribile dei killer, ma si sbagliava. Ciò che fù illuminato dalla luce della luna era una bambina con la gonnella gonfia e corta, le calze a righe bianche e nere lunghe e i capelli biondi lucenti,legati con due treccine sulle spalle mingherline.
Ma aveva dei pesanti anfibi neri e delle labbra rosse che contrastano con la pelle perlacea, gli occhi erano da gattina, tutti rossi. Era una specie di demone in sembianze da bambina.
La piccola si avvicinò silenziosamente e iniziò a cantare una ninnananna, una cantilena con voce monotona: _"dieci poveri negretti..."_
Camminava avanti e indietro per le piastrelle a scacchi nere e bianche che aveva scelto la stessa Elizabeth, i suoi scarponi provocavano scricchiolii e scrosci per tutta la casa. È solo una bambina, si diceva Elizabeth, ma questo non la tranquillizzava affatto, anzi, il pensiero che fosse una piccola bambina mingherlina la spaventava ancor di più.
Elizabeth trattenne il respiro quando la piccola si avvicinò col suo coltello e le fece un profondo taglio sulla guancia. Sucessivamente Elizabeth era completamente squartata, la piccola le aveva portato via la pelle lasciandola con la carne e il sangue scoperti. Nel giro di due ore la donna era morta dissanguata e la piccola stava leccando via il sangue e mangiando lentamente le interiora della donna.

*Quattro poveri negretti*
*salpan verso l'alto mar:*
*uno un granchio se lo prende,*
*e tre soli ne restar.*

L'agghiacciante, gigantesco pagliaccio che faceva ombra sui giovani sventurati mostrava un sorriso sinistro, che sembrava disegnato. Difatti era un pagliaccio, ma aveva un trucco talmente spaventoso! Aprì la bocca, dimostrando che i denti aguzzi non era un travestimento di Halloween fatto un po' in anticipo. Il fetore che usciva dalla gola era nulla in confronto a quello del resto del corpo.
Ma il terrificante pagliaccio prese un fiore e lo donò a Molly.
La ragazza rise, pensando che fosse uno scherzo di quello scemo del suo ragazzo, finché George non arrivò poco tempo dopo con un'espressione di sorpresa mista alla paura. Molly si girò e disse:
"Ma come, non è opera tua?" guardando poi il pagliaccio con un'espressione molto diversa dal divertimento di poco prima.
Lui fece un breve inchino e scappò via, mentre i due rimasero pietrificati davanti al punto in cui era sparito che non si accorsero minimamente del pagliaccio che stava dietro George, che lo prese e che lo trascinò via.
Davanti a Molly, immobilizzata dal terrore, il pagliaccio prese un coltello e iniziò ad accoltellare pian piano il ragazzo. Le sue lagne erano una tiritera ma appena si bloccarono il pagliaccio gli strappò letteralmente il cuore, morsicando e poi sputacchiando tutti i suoi organi.
Fù il turno di Molly. La poveretta non fece in tempo a correre via perché le gambe non glie lo permettevano, talmente erano molli e si accasciavano a terra dalla paura. Così il pagliaccio riuscì a prenderla, la bloccò e la uccise molto più velocemente del suo fidanzato, con 2 semplici coltellate,  una sul petto e una sulla gola.

*I due poveri negretti*
*stanno al sole per un po':*
*un si fuse come cera*
*e uno solo ne restò.*

La vecchia signora era pronta ad andarsene. Spettava solo al fato decidere come. Un assassinio? Una rapina? No, morti troppo banali per la centenaria MaryUnice. La donna dondolava cantando la solita cantilena: _"Dieci poveri negretti "._
Sorrise al pensiero di quella monotona melodia.
Così la donna aspettò. Finché un essere con la pelle scura e i dred neri si avvicinò e bisbigliò nell'orecchio di MaryUnice: "La fine è vicina". La vecchia sapeva il significato, così fece un cenno a Papalick Pa', il diavolo che controlla le entrate nell'inferno, come se fosse pronta.
Una bambola Woodoo. Questo fù ciò che diventò MaryUnice.
Perché una giovane donna nera arrivò nella sua stanza,con una bambolina in mano.
Prese un ago e lo infilò in uno degli arti della bambola. La vecchia urlò di dolore.
Perché non la uccideva ora?
La donna soffio, e MaryUnice si ritrovò in un campo ebreo. Quello era il periodo in cui era finita in un campo di concentramento. MaryUnice ricordava benissimo quella giornata.
La sua piccola, bellissima figlia doveva fare una doccia. "Sì... doccia... vai" farneticava la giovane MaryUnice. La piccola si avvicinava, entrava, e non tornava. Anzi, tornò uno scheletro vivente, con un po' di pelle attaccata alle ossa e carne in putrefazione. MaryUnice rivide questa scena, e ancora, e ancora, e ancora. Per tutta l'eternità. La sua bimba che tornava come mostro, un corpo con ossa e carne, e la pelle in putrefazione. Era orribile.
MaryUnice sentì un eco nella sua testa.
"Benvenuta all'inferno!" disse l'inquietante suono di una voce registrata, come le registrazioni delle bambole. "Benvenuta all'inferno, MaryUnice"

*Solo, il povero negretto*
*in un bosco se ne andò:*
*ad un pino si impiccò,*
*e nessuno ne restò.*

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