Maschera

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Correre.
Correre e scappare via, mettere più distanza possibile tra lei e quei mostri, correre e fuggire e allontanarsi e continuare a vivere senza una ragione precisa.
Artemis lo faceva da anni.
Ma in quel preciso momento dormiva.
Era su un albero, legata al più grosso dei tronchi da una corda, e aveva la testa chinata.
Dormiva e sognava.
La notte, quella notte precisa, aveva sognato di riavere la vista.
Aveva sognato di trovarsi sulla spiaggia e di vedere il mare, un fatto accaduto tempo prima. Tempo prima, ma non sapeva dire quanto. Il tempo scorreva in modo strano. A lei, sembravano secoli.
Quella notte aveva sognato di riavere gli occhi, perché era nata con due bellissimi occhi verdi, che però le erano stati rubati. Nessuno dei trucchi e degli incantesimi imparati in quell'anno passato con loro erano sufficienti a pagare il prezzo di perdere il proprio volto. Artemis era una di loro.
No.
Lo disse nella sua testa, un "no" scandito come il ticchettio dell'orologio che aveva accompagnato giorni e notti nella stanza in cui aveva dormito. No. Non sarebbe mai stata una di loro.
Lei era scappata.
Traditrice.
Sapeva che era così. Sapeva di averli traditi, agli occhi di tutti. Ma meglio essere una traditrice, che un mostro.
Il sogno sembrava così reale, così vivo: stava annusando l'aria alla ricerca di odore di salsedine. Perché aveva sognato quel giorno in cui, con Argus, aveva passato la notte in spiaggia. Non era mai stata al mare prima d'ora, e non l'aveva mai visto di persona, ma se lo immaginava come nei quadri che avevano riempito la sua infanzia: cristallino, brillante alla luce del nuovo sole e luccicante come se fosse tempestato di diamanti, cupo e nero alla pallida illuminazione lunare. Aveva capito da dove venisse il sole perché sentiva calore nella parte del corpo esposta ad est, ma nel suo sogno era in grado di vedere l'ombra che proiettava il suo serpente sulla sabbia bianca e morbida, la schiuma intorno alle onde, le sue mani delicate che stringevano i granelli. E sapeva che se si fosse specchiata non avrebbe visto la maschera o le cicatrici che avrebbe ritrovato al suo risveglio, ma avrebbe visto un volto uguale a quando aveva sedici anni e tutti le dicevano che era bellissima, e si sentiva bellissima sul serio.
Avrebbe visto l'elsa nera della sua spada ed i capelli castani puliti. C'era un forte odore di acqua salata, l'odore del mare, così si avvicinò all'acqua e vi immerse le mani. L'acqua era trasparente e le increspature trasformavano la sua pelle bianca. Quando ritrasse la mano la vide rugosa e un sorriso sincero comparve sulle sue labbra. Si stava specchiando nel mare, il volto lattiginoso coperto di efelidi al sole, le labbra carnose e rosee, gli occhi grandi, verdi come due smeraldi.
Argus si avvicinò al mare, fece per tuffarsi nell'acqua e nuotò come un serpente
. Artemis si rese conto che il serpente stava stritolando un grosso pesce, s'immerse con lui e ne catturò un paio con le mani senza fatica, per poi sedersi sulla spiaggia ed aprirli col coltello. Poi iniziò ad accendere un piccolo fuocherello e si mise a cucinarli con pazienza, perché il mare metteva appetito.
Non aveva mai visto Argus, mai nella sua vita, ma era stato il suo fido compagno per tanto tempo. La pelle dura e squamosa più simile a quella di un drago che ad una gigantesca anaconde. Squame nere che ricoprivano interamente il suo corpo spesso e muscoloso, occhi gialli e lingua rossa biforcuta.
Artemis rise osservando il suo compagno. Le sembrava così reale che sentiva di non aver mai perso la vista, di non aver mai perso Argus. Le sembrava che tutto fosse come un tempo. Aveva iniziato a confonderla con la realtà.
Ma poi si destò.
Non aprì gli occhi, perché non li aveva, ma percepì ugualmente di essersi svegliata quando sentì aria fredda provenire da nord e odore umido simile al muschio e alla pioggia infiltrarsi nel suo naso e sostituire l'odore del mare, l'aria del mare. Vedeva tutto nero. Addio sogni di spiagge bianche e mare cristallino. L'oscurità era dinnanzi a lei e si estendeva all'infinito inghiottendola. Le sembrava di non percepire ciò che la circondava. Ma c'era. C'era il ramo su cui si era appisolata perché sentiva la corteccia sotto la sua mano callosa. C'era la pioggia sotto cui aveva dormito e l'albero che l'aveva esposta al pericolo dell'elettricità, perché sentiva l'odore di legna bagnata e i capelli umidi si appiccicavano al collo e alla maschera. C'era ogni cosa al suo posto come l'aveva lasciata la notte prima e così si ricordò che era quella la sua realtà. Era quella, ma le sarebbe piaciuto da morire che non lo fosse.
Provava il desiderio di vivere ancora il sogno fatto. Cercò di parlare. Voleva dire ad alta voce il nome di Argus.
Argus.
Aprì la bocca, ma ad uscire fuori fu solo un rantolio.
Era da settimane che non provava a parlare e le corde vocali si erano impigrite. Ci riprovò.
"Argus".
Questa volta fu poco più che un sussurro. Ma aveva udito il suono della sua voce ed era già qualcosa.
"Argus. Argus, Argus" ritentò. Ogni volta che lo ripeteva parlava con voce più alta. "Argus... Argus!" Lo disse. Lo disse o lo urlò. Lasciò che il suono rieccheggiasse per tutto il bosco. Era bello sentire la sua voce. Era bello sentire la compagnia del proprio eco.
Era comunque sempre meglio che la solitaria e silenziosa compagnia degli alberi.
O almeno, così si ripeteva.

Angolo Autrice:

Non so quanti di voi si ricordano di avere questa storia in biblioteca, e quanti l'abbiano cancellata... in ogni caso sono passata per un certo periodo alle poesie (passate a leggere la raccolta poesie di cenere, giusto per vedere quanto fanno schifo) e oggi mi sono messa a leggere le bozze, e ho trovato qualcosa di pubblicabile scritto tipo l'anno scorso.

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