Cyrodiil, la sede dell'impero corrotto

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L'invero era diventato particolarmente freddo nella Città Imperiale. Fiocchi di neve grandi quanto foglie di quercia coprivano le statue dell'Arboreto. Un gelo così non si era mai verificato tanto a sud da Bruma, e perfino un Nord rude e pieno d'idromele in corpo non resisterebbe a tali temperature. Per le strade del mercato si viveva sempre la solita routine, tra l'andirivieni dei mercanti pronti a chiudere le botteghe per la notte e gli ultimi compratori ritardatari che si apprestavano a fare provviste per l'imminente gelata. Per questioni di sicurezza le stanze imperiali furono sistemate in un luogo della torre più basso rispetto all'usuale e gli alloggi dell'imperatrice Thonica furono ricreate in ciò che qualche giorno prima risultasse essere una sorta di astrolabio per i Sacerdoti della Falena. Tale scelta fu mossa dalla preoccupazione dei venti freddi che sferzavano la Torre d'oro Bianco come fosse un soffione pronto a spargere i suoi semi tra i campi. Tra i vicoli ormai deserti, con la sola candidezza della neve a rischiarare le pareti di fredde case in pietra lavorata, una Masser particolarmente luminosa era accompagnata dalla sua sorella nella corsa tra i cieli. La luce riflessa di cui sembravano inebriate come di buon vino intarsiava i coni di ghiaccio che nella notte condensavano sotto i davanzali in marmo bianco di alcune finestre. Uno scricchiolio ruppe l'armonia di quel luogo, un cristallo cadde dall'alto e si schiantò rovinosamente ai piedi scalzi di una figura che, nella luminosità della notte, era come misticamente avvolta dalle tenebre e dalla sua veste nera. Incappucciata camminava tra il dedalo di abitazioni che le si paravano davanti e con la calda condensa di un vecchio respiro che le accarezzava gli ormai vecchi lineamenti. Le nude gambe erano a tratti coperte dal leggero mantello ed il rumore dei palmi dei piedi sulla fredda roccia risuonava come bomba nel silenzio. Si girò per guardarsi intorno, la ricca casa era addobbata a nozze con motivi Bosmer. Nemmeno una pianta o fiore era stato colto per abbellirne l'esterno. Pensò a Melowen, il suo contatto, e si meravigliò della quantità delle volte in cui era sfuggita egregiamente dai suoi tanti mariti. In fondo, pensò, li aveva uccisi tutti grazie al suo aiuto. Quella zona si era evoluta con il tempo assieme alla mentalità degli Imperiali, in lontanaza riusciva a vedere la cima di un Hist, segno dell'apertura dei cittadini verso altre culture. L'odore di legna arsa invadeva ogni vicolo e camini fumanti sprigionavano ceneri che coprivano di grigio il bianco manto dei tetti. Tranne uno. La casa Bosmer era avvolta dal sonno e dal silenzio, dopo la festa sembrava che fossero stati tutti portati via nell'Oblivion, ma lei era là, sulla soglia di quell'abitazione. Il manico della bugia che aveva in mano era semiricoperto dalla cera di una flebile candela e la luce da essa sprigionata non era nulla rispetto alla luminosità lunare. Melowen inquadrò la donna incappucciata ed impassibile si levò da una ciocca di capelli una perlina ornamentale.
<< Naraye, mia cara, in perfetto orario come al solito. >> disse nella linearità della sua voce.
<< Stai aspettando da molto? >> chiese la donna.
<< No, il giusto. >> rispose lei.
La figura incappucciata si levò il copricapo dalla testa e rivelò la sua grigia pelle atonica e le orecchie a punta agli occhi delle pareti attorno.
<< La cera sulla tua manica mi dice il contrario. >> un sorrisetto malizioso le stirò le rughe del viso.
Il gelido vento le avvinghiò in un freddo abbraccio e Melowen dovette riparare la fimmella con la mano per evitare che venisse spenta.
<< Cosa diavolo staranno combinando i maghi dell'università Arcana lassù? Un freddo del genere non è cosa normale, assieme al vento cresce ogni notte d'intensità e sembrerebbe riuscire a passare tra le spesse pareti di casa. >> disse Melowen mentre, con la mano posta a pochi centimetri dalla fiamma, cercava di riscaldarsi. In compenso, Naraye, sembrava perfettamente a suo agio nella sottile vestaglia nera dove, grossi lembi di essa, venivano fatti muovere dal vento.
<< I maghi al momento mi interessano ben poco, piuttosto, dimmi mia cara, come procede la tua prima notte di nozze? Vesti del genere non vengono utilizzate per la quotidianità. >> disse la vecchia Dunmer accarezzando il morbido tessuto che la nobildonna indossava. In tutta risposta Melowen mosse velocemente l'avambraccio e si scostò le mani della Dunmer da dosso. La fiammella, invece, non trovando più riparo, morì nella gelida notte.
<< Peccato che queste preziosi vesti siano servite a ben poco, per la prima notte assieme ha fatto dormire i suoi pargoli nel nostro letto. >> sembrava abbastanza scocciata anche se il suo tono altezzoso non era minimamente compromesso << Sono una seguace di Lady Dibella e dovrei in qualche modo essere desiderata da mio marito ma lui, a differenza degli altri che lo hanno preceduto, non mi ha degnata minimamente di uno sguardo. Tutte le sue attenzioni sono mirate a quelle sudicie bestioline che non hanno assoluto rispetto per la loro nuova madre. Che la Bella mi sia testimone, se non esco presto da questa situazione giuro che impazzirò.>>
<< Melowen sai che arrabbiarsi serve a ben poco, finirai per sciupare quel tuo bel visino con rughe repellenti come le mie, sappi solo che la tua Narye ha la soluzione, ad Hammerfell la radice di Jarrin prospera nei pochi acquitrini di Stos M'kai, me ne procurerò qualcuna e te la donerò. >>
<< Sono sempre molto titubante ad uccidere qualcuno con del veleno, sai? I sacerdoti di Arkay possono facilmente arrivare alla causa della morte. >> per un momento la fissò intensamente senza proferire parola, sembrava che avesse per un istante perso la sua aria da superiore, come se qualcuno le avesse strappato ciò che di più importante c'era in lei. Si riscosse il tanto che bastava per alzare lo sguardo cercando come qualcosa su un tetto.
<< Melowen?... >> la Dunmer sembrava preoccuparsi.
<< Niente, >> si riprese << continua, cosa farò con la radice? >>
<< Può essere cucinata come ogni verdura e messa in qualsiasi piatto, grattugiata sulla carne o fatta a cubetti in una zuppa. Fai solo attenzione alla cottura, temperature elevate potrebbero comprometterne il grado di tossicità. Poi per i sacerdoti di Arkay non hai bisogno di che preoccuparti, il veleno è difficile da rintracciare. >>
<< Mentre per quei luridi bambini? Essendo la matrigna il Consiglio me li affiderà. >>
<< Per i bambini ho un'idea. >> si stofinò le mani.
<< Odio queste tue idee, Naraye. Soprattutto se sono così improvvise. >>
<< Mia cara... potresti vendermeli! >>
Fu come se tutti i pensieri si fossero focalizzati in quelle parole.
<< Stai suscitando il mio interesse. Continua. Ti ascolto. >> gli occhi le iniziarono ad illuminarsi.
<< Conosci la mia propensione verso l'alchimia, vero? Bene! I loro cuori risulteranno preziosi per le mie pozioni, dopodiché potrei vendere i loro corpi ai negromanti, loro sono sempre alla ricerca di nuovi cadaveri su cui fare... ehm... esperimenti. >> l'elfo scuro aspettò una risposta dalla Bosmer mentre lei, dalla sua compostezza quasi regale, rifletteva sull'offerta.
<< Solo se parte del ricavato verrà donato a me. >>
<< Pensavo che questa parte fosse sottintesa, Melowen. >>
<< Nulla è mai sottinteso, Naraye. Solo gli sciocchi accettano un patto senza giusti chiarimenti. Mi consideri per caso una sciocca? >> il sopracciglio destro le si alzò di poco nell'intonazione della domanda.
<< No, assolutamente. Fidati. >> la voce era smossa da qualcosa, come se non fosse completamente sicura delle parole uscitole dalla bocca, cosa che la Bosmer subito notò.
<< Mi offende sapere che per te sono considerata tale dopo tutto questo tempo assieme, piuttosto, d'altro canto, dovrei essere io a crederti una sciocca. Mi hai chiesto di fidarmi quando sai bene che la mia fiducia la perdesti con l'omicidio del mio terzo marito. >> sembrava volerle fare una predica.
<< Sai bene che non è stata colpa mia. >> rispose con sicurezza.
<< Peccato che quel giorno rischiai di lasciarci la pelle... >> aveva gli occhi più grandi di quanto Naraye si ricordasse, in quella frase sembravano come aver perso parte del loro fascino. Melowen stava invecchiando e dopo cinque mariti e per quattro volte vedova il tempo stava iniziando a scavare leggerissimi solchi nella sua pelle, come un aratro che strazia e graffia la terra dura con il suo vomere in ferro.
<< Quell'assassino dei Morag Tong mi aveva assicurato di essere il migliore della sua confraternita nell'arte della furtività. >> disse la Dunmer.
<< Eppure chi poteva immaginarselo che la sua prudenza consisteva nell'inciampare in un rametto e capitombolare ai piedi della carrozza dove si trovava il mio ex marito? >> ruotò leggermente la testa.
<< Quel giorno fosti graziata, ma ti ricordo che la colpa non fu mia. >>
<< Va bene Naraye, ho capito. Lady Dibella non vuol veder morire la sua migliore fedele, ecco perché mi ha aiutato. Senza di lei non sarei mai riuscita a scappare dalle guardie che vigilavano sul carro ed a rifugiarmi nella Città Imperiale. >> durante queste sue parole Melowen aveva d'istinto portato le mani vicino al suo collo, unendole attorno al medaglione della Dea della bellezza datole in eredità dal suo primo marito. Il passato tornò a farle visita quel giorno. Il ricordo era vivido nel suo pensiero, come marchiato in un angolo della mente dove poteva scavare per cercarlo e riportarlo alla luce.
Era il giorno del suo matrimonio, il figlio della contessa di Cheydinhal era al suo fianco seduto in una carrozza riccamente decorata: i nastrini viola; gli orli ai tendaggi; i pizzi rossi messi qua e là alla rinfusa ed il metallo prezioso di cui era costituita lasciavano capire il ceto sociale delle due persone al suo interno. I cavalli -scelti appositamente dalla contessa per intraprendere un viaggio così lungo- avevano sui fianchi ghirlande di lana bianchissima e piccole semi-perle ne incorniciavano gli occhi e le orecchie. Melowen era poco più giovane di come non lo fosse ora, i capelli erano più luminosi e rilucevano di riflessi ramati, le efelidi ne punteggiavano il naso e si espandevano lungo le guance rese ancora più belle dalla presenza di polvere di vetro fissata sotto gli zigomi. L'elfo scuro che le teneva stretta la mano era un ragazzetto da poco raggiunta la maturità, sudava vistosamente per l'emozione e parte del colletto del suo camiciotto era fradicio. Le orecchie a punta, di poco più corte di quelle della sua sposa, avevano degli orecchini mobili di ottone con incastonati alcuni topazi gialli ed azzurri. Tutto sarebbe stato perfetto quel giorno, ma i pensieri di Melowen erano completamente offuscati dalle possibili complicanze che sarebbero potute accadere quel giorno. Se l'assassino dei Morag Tong avesse sbagliato anche solo un movimento, le guardie di scorta lo avrebbero attaccato, anche se esperto ad uccidere sarebbe presto caduto sotto i colpi di quattro scorte. Fu come se il vento all'improvviso si fosse fermato ed un gelido sentimento si fosse insinuato in lei. Rimase incantata a guardare il vuoto, con una lacrima perlacea che le rigò il volto stanco. Il nitrito di un cavallo; un rametto spezzato; un grido di battaglia e due spade estratte dal fodero con velocità. Il sicario era caduto e cercava in tutti i modi di rialzarsi per difendersi. Le guardie erano su di lui, ma per quanto i fendenti tagliavano l'aria con precisione erano l'unica cosa che riuscivano a colpire. L'assassino era troppo veloce e schivava i colpi senza troppa fatica, in un momento in cui era sicuro di avere la meglio estrasse il pugnale e con un secco movimento del braccio recise il collo della guardia, tra l'elmo e la corazza. Melowen era impietrita, come sempre quando il momento dell'uccisione dei suoi mariti stava per andare a buon termine, il ragazzetto al suo fianco era preso dal panico, urlava e si dimenava, cercava di uscire ma le porte erano bloccate. La Bosmer aveva previsto questa situazione e con un incantesimo aveva serrato i lucchetti della carrozza. Mentre un pianto disperato e supplicante si intensificavano al suo fianco, un viso carico d'odio e di violenza si avvicinò alla carrozza. Il Dunmer si relegò in un angolino con le gambe alzate al petto e le mani parate avanti per difesa. Melowen con lo sguardo perso nel vuoto agitò lievemente le mani, una in direzione della porticina della carrozza per sbloccarla e l'altra in direzione di suo marito. L'assassino entrò con aria minacciosa, la sua figura, anche se minuta, sembrò occupare l'intero cubicolo con la sua presenza. Melowen ritrasse leggermente i piedi per lasciarlo passare e spostò lo sguardo ai corpi senza vita delle guardie. Si erano immolati per una giusta causa, anche se erano all'oscuro di tutto. Pensò. Mentre un urlo soffocato riempì le pareti della carrozza, un movimento leggero con la mano recise carne e muscolo in un rumore sordo e preciso, come uno strappo di una pergamena vecchia, il sangue fluì sui cuscini della panca e li colorò di rosso. Il marito di Melowen giaceva come un maiale da macello, con la testa semi recisa dal collo e gli occhi aperti carichi di una paura che presto sarebbe svanita. Poi un altro rumore, di qualcuno che saltava sulla terra battuta e che correva nei campi, il cocchiere era sceso e ansimava in preda al panico sperando di trovare un nascondiglio per salvarsi. L'assassino stava per partire all'inseguimento dell'uomo ma Melowen lo bloccò.
<< Hai sparso fin troppo sangue innocente, il tuo contratto è da ritenersi concluso. >> una sola lacrima era ferma sulla guancia.
Il Morag Tong la guardò per un secondo e poi, mentre se ne stava andando... sorrise.
Già parecchio lontana dal luogo dell'agguato, ritrovatasi in un campo di una fattoria con una strana pietra tra le mani, iniziò ad immedesimarsi nel ruolo che doveva interpretare, bussò energicamente alla porta del maniero ed urlò a gran voce.
<< Aiuto! Siamo stati attaccati da un gruppo di banditi! >>

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