Prefazione

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Scrivo con le poche forze che ancora mi sono rimaste, il mio calamo si sta lentamente svuotando e, per quanto chieda, non mi daranno null'altro. In queste poche righe vi scrivo delle condizioni attuali sull'invasione di Akavir e spero che questa lettera giunga, in qualche modo, al Consiglio degli Anziani. Scrivo soprattutto a voi, miei illustrissimi re e regine di High Rock, se casomai non riuscissi a tornare, fate in modo di tener alto il nome dei Motierre, un nome che, di certo, non verrà scordato nei secoli. Per quanto mi ribelli quei dannati succhia-sangue sono sempre più forti, la nostra schiavitù persevera in queste lande sconosciute e gli ex territori d'annessione imperiale sono stati nuovamente riconquistati. Ionith, la città-fortezza inespugnabile, è stata fatta crollare come un fuscello d'erba tra i venti gelati di Skyrim e Septimia, la mia nuova casa, il luogo dove il mio nome avrebbe riscosso stupore anche lontano da Tamriel, è stata completamente inondata dalle tempeste, le mie numerosissime ricerche su questo posto sono state interamente inghiottite dall'oceano che, come un vorace squalo, si è apprestato a far sprofondare nel suo oscuro oblio il sogno di una vita. Come fummo catturati è una storia a dir poco misteriosa, tanto come questa terra. Avevamo reso di Septimia il più fiorente porto che la Compagnia dell'Impero Orientale avesse mai avuto, tale magnificenza era seconda solo alla Torre Direnni. La grande balaustra che costeggiava il fiume da noi ribattezzato Moras era più una protezione per gli straripamenti che per un pensiero di un'imminente riconquista. Con gli abbondanti raccolti ed i continui scambi commerciali riuscimmo a finanziare una spedizione oltre ciò che l'imponente muro celava alla nostra vista. Il luogo non era poi così impervio come lo immaginavamo, fu facile, infatti, per la quinta legione avvistare una rocca fortificata parecchie leghe lontane dal porto. A stento riuscivo a mantenere l'eccitazione, per più volte rischiai di cadere da cavallo esponendo a rischio la mia continuazione nel documentare, al fianco dell'imperatore, le sue valide gesta. La blanda resistenza fu ben presto disciolta, la fortezza era abitata dai contadini fuggiaschi di Septimia e per noi fu semplice impossessarci di Ionith, la nuova capitale del regno imperiale ad Akavir. In soli tre giorni i nostri abili lavoratori capeggiati dai più eccelsi ingegneri realizzarono  una strada di comunicazione per la città portuale e ben presto flussi costanti di carovane rifornivano il forte di ogni tipo di bene, che esso provenisse dalla lontana Tamriel o dal vicino oceano. Il problema maggiore sorse dopo una settimana dalla nostra vittoria, io ero li, intento a correggere e rivalutare i vari aspetti dei miei rapporti quando, vestito in abiti formali Tsaesci, un essere poco più alto di un Altmer si prostrò ai piedi del trono chiedendo udienza al nostro imperatore. Si presentò come un ambasciatore di pace, anche se, la pesante Katana che portava foderata al fianco faceva scontro con l'idea da lui proposta. Dopo ore interminabili di contrattazioni e macchinazioni di cui non potrò svelare molto -per paura che il mio messaggio non arrivi a voi del consiglio ma a qualcun altro- fu stipulata una sorta di pace che credemmo duratura. Sciocchi siamo stati a non aspettarci un attacco nel cuore della notte, quei maledetti traditori arrivarono alle porte della città armati fino ai loro denti lunghi ed affilati, con la magia abbatterono le due entrate di Ionith privando del sangue i nostri uomini e le nostre donne. La mia stessa Vänne morì nello scontro, perdendo con lei tutto ciò che un uomo poteva essere. Intere legioni erano nulla in confronto ad un paio dei loro maghi-guerrieri, e l'intera rocca fu presa d'assalto. Dalle mie stanze ormai in subbuglio mi affacciai dalla finestra per scorgere qualcosa, forse uno spiraglio di speranza nel trovare una via di fuga libera o anche solo un lembo della preziosa veste di Vänne che mi lasciasse l'opportunità di raccogliere il suo cadavere e di donargli degna sepoltura. Masser e Secunda nel cielo parvero avere lo stesso colore dell'innumerevole sangue versato. Il caos regnava sovrano ovunque, gli ordini venivano urlati a gran voce per sovrastare le grida dei coloni in fuga e le bombe di fuoco che esplodevano in tutta la zona. Con occhi carichi di lacrime, come lo sono ora pensando ai dolci ricordi della mia amata, vidi ciò che per lungo tempo avevo visto fare nelle altre abitazioni. Gli Tsaesci entrarono di casa in casa per far prigionieri, chi era troppo vecchio per poter lavorare veniva ucciso all'istante. Due di loro squarciarono la mia porta come fosse carta nelle mani affollate di artigli delle Hagraven. Si avvicinarono a me camminando con le mani e, per la prima volta, vidi la loro reale natura che si ostinavano a nascondere. Erano per metà serpenti, dalla cintola in giù grosse code verdi e squamose sbucavano fuori da robuste armature in vetro rafforzato. Gli occhi, dalla forma a mandorla, erano di un giallo intenso, quasi da apparire lucenti al buio. L'essere, bianco in volto come cadavere, dall'innaturale colorito malaticcio, si apprestò a scagliarmi contro un incantesimo di paralisi che mi bloccò istantaneamente sul posto. Mi issarono sul suo dorso e, nella posizione impaurita nella quale ero bloccato, vidi il nostro imperatore completamente avvolto nelle fiamme del suo Thu'um, sparire come fumo nel fuoco magico che lui stesso aveva creato per difenderci. Tamriel ormai, miei cari, non godrà più della fama del suo più abile condottiero e l'invasione di Akavir è ormai giunta al suo termine.

Emeril Motierre, colono Bretone ad Akavir. Stella della Sera 3E 290.

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