Concorso di Vvogliolaluna

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Scappo.
Scappo così velocemente che sento l'aria che mi ferisce le guance ormai corrose.
Affanno. Cazzo, sto per morire.
Mi fermo e respiro così velocemente che vomito fino a rimanere disidratata.
Non riesco neanche a reggermi in piedi, devo trovarmi un rifugio per la notte, non posso tornare a casa in queste condizioni, non dopo che i miei genitori hanno scoperto che mi drogo.
Ma certo, devo chiamare Eric, lui sarà in grado di trovarmi un posto dove dormire, anche se ad una condizione alla quale ormai sono abituata...
Adesso non me ne importa più di niente di tutto questo, voglio solo un posto dove riposare, domani penserò al futuro.
Mi alzo dolorante, prendo il cellulare dalla tasca e lo accendo. Guardo distrattamente il display cosparso di chiamate perse da papà e mamma e chiamo Eric.
"Eric? Vieni a prendermi, ho bisogno di un posto dove dormire."
Pochi minuti dopo arriva.
Abbassa il finestrino e mi fa cenno di salire. È così fottutamente bello.
Apro lo sportello della macchina e salgo accanto a lui. Ci sono bottiglie di vodka ovunque.
Ovunque.
"Allora? Che è successo?"
Gli lancio uno sguardo furtivo, poi mi giro verso il finestrino e gli parlo delle pasticche trovate sotto il materasso dai miei genitori, dei lividi lasciatomi dalle violente botte di mio padre, mia mamma piangente accasciata sul pavimento.
Eric annuisce e si accende una sigaretta.
Arriviamo davanti a casa sua molto velocemente. Apre la portiera e butta la sigaretta per terra.
Entriamo in casa.
Chiude la porta e inizia a fissarmi. Appena incontra il mio sguardo ormai spento da tempo chiede: "Sai quali sono le condizioni, vero?"
Annuisco debolmente e mi tolgo la maglietta. Lui apre un cassetto ed estrae due pasticche.
Mi abbraccio così forte che sento il dolore dei lividi ovunque. Sospiro debolmente ed apro la bocca.
Lui mi tira sul letto infilandomi la pasticca in gola ed ingoiando la sua.
La vista si fa sfocata, riesco a vedere solo la testa di Eric che si getta sul mio collo.
Gemo.
Poi non capisco più niente.

Mi ritrovo in un giardino pieno di margherite. C'è mio padre che mi guarda ridendo. Mi alzo lentamente. Ho quel vestito bianco con lunghi papaveri rossi che mi aveva regalato la nonna.
Mi dirigo verso un laghetto e mi guardo attentamente.
Dolci riccioli rossi e guancette paffute. Vedo arrivare mio padre che mi abbraccia affettuosamente e mi prende in braccio. Mi mette su un'altalena e inizia a spingermi. Mi spinge così in alto che finisco sull'anello di Saturno.

Riapro lentamente gli occhi e vedo lo spazio. Un' immenso spazio che mi sovrasta. Ah già. Sono su Saturno. Inizio a camminare, anzi a volteggiare. C'è una sagoma che mi viene incontro, sembra un'uomo incappucciato. Si ferma davanti a me. Lo guardo e mi chiedo se dovrei dirgli qualcosa, ad esempio chiedergli che cazzo ci faccio qui. Pone fine alle mie domande interiori avvicinandosi lentamente e stringendomi i fianchi.
Urlo.

Non sono più nello spazio. Sono nuda. Appesa ad una  parete, con i polsi stretti da due manette.
Le mie costole sembrano voler uscire dal petto. La pelle sanguina così tanto che sembra staccarsi. C'è un uomo davanti a me. Un bellissimo uomo con un ciuffo biondo e addominali scolpiti. Sicuramente è quello che fino a poco tempo fa era incappucciato a volteggiare su Saturno insieme a me. Stringe una frusta nella mano destra, ricoperta di sangue. Del mio sangue.
Mi frusta ancora una volta. Gemo dal dolore e inizio a piangere come una bambina. Tira la frusta sul pavimento e si avvicina al mio seno. Inizia a scavarci con le sue lunghe unghie, fino ad aprire una voragine nel mio corpo. Poco dopo ne estrae un cuore. Il mio cuore.
Io continuopiangere. Non so come faccio ma piango, piango come non ho mai pianto in tutta la mia vita.

Mi ritrovo sul letto di Eric completamente nuda. La fievole luce dell'alba mi accarezza i lividi cosparsi un po' ovunque.
Eric è accanto a me con una mano sul mio seno. Me la tolgo debolmente di dosso e vado a vomitare in giardino sulle sue adorate margherite.
Prendo la macchina di Eric e vado verso casa.
Spalanco la porta e corro silenziosamente in camera mia, dove, sotto un cumulo di vestiti trovo il mio tutù niveo. Lo indosso e corro fuori.
Prendo il telefono e metto "Il Lago dei Cigni".
Inizio a danzare.
Danzo come non ho mai fatto in tutta la mia vita. Piango e danzo, il corpo fa tutto da solo.
Piango così tanto che vedo a malapena le sagome dei miei genitori che corrono verso di me. Mi fermo e li guardo sorridendo.
"Vi ho voluto bene. Tornassi indietro non farei di sicuro tutto ciò. Ormai è andata così. Addio."
Mi giro ed estraggo da sotto il tutù il coltello che ho rubato ad Eric. Sento in lontananza la voce di mio padre che urla il mio nome.

"Facciamola finita."

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