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Sento la pioggia tamburellare sul tetto dell'auto come tante piccole dita. Sono talmente stordita da non riuscire a capire se siano le gocce di pioggia a fare rumore, o il pulsare del sangue nelle mie tempie. Tutto è assolutamente immobile, silenzioso. Non sarebbe dovuta andare così. A quest'ora, minuto più, minuto meno, dovrei essere in classe, con il sedere premuto su quella stupida sedia traballante che mi hanno affibbiato il primo giorno di scuola e che nessuno ha mai voluto aggiustare. E invece sono chissà dove, in mezzo al nulla, schiacciata fra il sedile dell'auto di mia madre e l'airbag che è scoppiato. E c'è sangue, dappertutto. Il suo pungente odore metallico mi sta facendo venire i conati. Se mia madre mi avesse permesso di saltare la colazione, stamattina, probabilmente ora non sarei sul punto di rigettare tutto. Ma mia madre è sempre stata un tipo così, un po' rude, di quelle vecchio stampo. Non gliene faccio una colpa, anche se delle volte mi fa innervosire con quelle sue manie di donna-dittatrice. Alle elementari ti insegnano a rispettare i genitori e lei è pur sempre mia madre.

E ora...

Mia madre. Dove diavolo è finita? Dovrebbe essere lì, nel sedile accanto. E invece... e invece non c'è. Tento di sollevare le palpebre, che sembrano incollate le une alle altre, cerco di tornare a respirare, ma la cassa toracica sembra incastrarmi i polmoni. Mi sento senza fiato, con la cintura di sicurezza tesa fino al limite sulla pelle del collo. Devo cercare di liberarmi. Devo cercare mia madre. Devo uscire di qui. 

Cerco di strisciare contro il sedile dietro di me, tentando invano di liberare le ginocchia, ma quando ci provo il dolore mi fa imprecare. Digrigno i denti, ansimando. Se voglio uscire da qui, devo mantenere la calma. O almeno provarci. Ma è così complicato ragionare con lucidità in queste condizioni. Non mi sono ancora resa conto di quanto è accaduto. Non riesco a capacitarmene. E ho così tanta paura, paura che rimarrò incastrata per sempre, paura di morire. Sono da sola e mi manca mia madre. Sono da sola, e ho solo diciassette anni. Che cosa potrebbe mai fare una ragazzina di diciassette anni in una situazione del genere? Non sono intelligente, quindi non posso ideare un piano per uscire da questa maledetta auto. Non sono nemmeno sveglia, perché tutto intorno a me sembra vorticare come nel contesto di un sogno. Ogni cosa, a cominciare dalle mie ginocchia assurdamente premute contro il petto, ai capelli incrostati di sangue incollati alla fronte, all'odore di metallo bruciato, mi rimanda all'idea che sia tutto uno stupido sogno. Un'illusione. Ma più cerco di convincermi che non sia reale, più il presente sembra trascinarmi verso il fondo per farmi sentire quanto invece lo è. 

Non so che cosa devo fare. L'unica cosa su cui non ho dubbi è che devo assolutamente reagire. Con uno sforzo che mi costa una violenta fitta di dolore al costato cerco di allungare la mano libera verso la portiera, spalancandola lentamente. L'aria gelida dovrebbe mozzarmi il fiato. Invece non è così. Non percepisco né il freddo, né altro. E poi, mentre volto la testa verso l'uscita e dubito sul fatto che abbia ancora dei polmoni, la scorgo, in lontananza, accovacciata accanto a un corpo rannicchiato sull'asfalto gelato. Non riesco a distinguere i contorni, perché tutto continua ad essere confuso e sfocato, ma sono sicura si tratti della sagoma di un uomo.

«S... signore!» provo a gridare ma, con orrore, mi rendo conto che la mia gola brucia e che non sono in grado di esprimermi. Che il suono, per quanto ci provi, non lascia le mie labbra. Maledizione. Che cosa mi sta succedendo? Cosa è cambiato nel giro di qualche istante? 

Non riesco a respirare. Non riesco a vedere. Non riesco a parlare. E non mi sento più le gambe, o le braccia. Non sento più niente.

Non ho fiducia in dio, o almeno, non più. Eppure, quando l'orrore del mio presente mi travolge in pieno, togliendomi tutte le forze, rischiando di cancellare tutto ciò che sono, lo faccio. Ricomincio a pregare, a sperare in un paradiso in cui ho smesso di credere da tempo. Ma, probabilmente, dovrei sapere che non cambierebbe nulla. Non puoi svegliarti da un giorno all'altro e ricominciare a credere all'improvviso. Non funziona così. L'ho imparato a mie spese. Quando ormai, a diciassette anni e tanti sogni ancora da realizzare, è troppo tardi.

Il paradiso alla fine della stradaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora