Capitolo 2

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«Lui è Fabio» ci presenta mia zia.
«È un piacere rivederti, Angelica» il ragazzo allunga la mano verso di me che io, tremante, afferro e stringo.
«Ma vi conoscete già?» ed entrambi annuiamo.
Questo è proprio un bel guaio. Ogni volta che c'è lui divento più goffa del normale e arrossisco. La sua presenza mi fa sentire a disagio e se penso che dovrò passare tre mesi qui, vedendolo ogni giorno, mi sale ancora di più l'ansia.
«Oggi tocca a te stare in cassa e all'occorrenza servire ai tavoli, Angelica. Puoi trovare una divisa nell'armadietto nella porta a sinistra dietro la cassa. Ricordati di cercare quello con il numero quattro. E sappi che solo per oggi ti concedo di finire il turno alle 19. Da domani  inizi con quello completo e ti dividerai anche tu i giorni di pulizie con i tuoi colleghi.»
Mia zia ci lascia da soli e un silenzio imbarazzante piomba tra noi.
«Così saremo colleghi fino a settembre, giusto?»
Annuisco leggermente, evitando di guardarlo.
«Preferisci restare qui fuori?» la sua domanda mi risveglia dallo stato di trance in cui mi trovavo e nego con la testa, arrossendo ancora di più.
Senza rivolgergli la parola entro nel locale e mi guardo intorno: è davvero cambiato dall'ultima volta in cui sono entrata.
Sembra tutto un altro posto ed è più grande, dovuto al fatto che mia zia ha comprato anche il locale vuoto che era a fianco e li ha uniti in un unico spazio. La radio riecheggia, sovrastando il rombo delle auto.
Mi soffermo a guardare le deliziose poltrone in velluto verde poste attorno ai diversi tavoli, alla mia sinistra. In fondo, le porte dei bagni.
Sorrido di fronte al buon gusto di mia zia nell'arredare, scrutando i vari quadri paesaggistici sparsi sui muri scuri.
Sulla mia destra, invece, c'è un lungo bancone con degli sgabelli.
Alla fine del bancone in legno, c'è la cassa mentre sui muri dietro, sui vari scaffali, ci sono tutti i tipi di amari e liquori. Devo ammettere che è davvero fornito.
Raggiungo la cassa e mi accorgo solo ora che tra due degli scaffali c'è un piccolo disimpegno che conduce a due porte. Mi chiedevo dove fossero visto che dall'altro lato non riuscivo a vederle.
So di dover aprire quella di sinistra ma sono curiosa di vedere cosa c'è nell'altra.
Non appena lascio vincere la curiosità, un dolce profumo mi solletica le narici.
Accanto al forno, un uomo molto robusto dai lineamenti duri, controlla i vari dolci e ogni tipo di leccornia che sta cuocendo.
I suoi occhi sono neri così come i suoi capelli, dall'aspetto sembra avere cinquant'anni.
Quasi come se sentisse di essere osservato, l'uomo posa il suo sguardo su di me.
Il ghigno che mi rivolge provoca un brivido sulla schiena.
«Ti sei persa, ragazzina?» mi sbeffeggia.
«Lasciala stare, Alex. È mia nipote» lo riprende mia zia. «Tesoro, è l'altra stanza.» mi ricorda.
La ringrazio e chiudo subito la porta, entrando poi in quella di fronte, uno spogliatoio. Le pareti nere rendono ancora più buia questa stanza priva di finestre, costringendomi ad accendere la luce.
Vado a sciacquarmi il viso nel bagno a destra e a legarmi i capelli per poi tornare di fronte agli armadietti.
Una chiave è appesa vicino al lucchetto.
All'interno,  c'è una busta con la divisa. Prima di cambiarmi, mi assicuro che la porta sia chiusa a chiave.
Il pantalone nero mi calza alla perfezione mentre la camicia bianca sembra leggermente più grande ma non si nota molto quindi lascio perdere e completo il tutto con la cravatta nera.
So di aver già perso troppo tempo quindi non mi resta altro che andare alla cassa
e svolgere il mio lavoro sperando che vada tutto bene.

Alla fine del mio primo giorno sono stremata. Come previsto, ho combinato parecchi guai.
Avrei voluto che si aprisse un varco che mi risucchiasse quando sono inciampata, rovesciando il caffè addosso a una signora. E avrei voluto urlare quando la stessa signora, alla vista del completo di raso nero ormai rovinato, ha iniziato a sbraitare contro di me riempiendomi di insulti, nonostante le avessi chiesto scusa più volte. Tutti i clienti si sono girati a fissarci.
È intervenuta anche mia zia, cercando di spiegarle che era il mio primo giorno ma lei non ha voluto sentire ragioni e, indignata, se n'è andata continuando a imprecare contro di me.
Ero così arrabbiata che quasi scoppiavo a piangere e ho dovuto ricorrere a tutta la mia forza di volontà per trattenermi.
Mi sono sentita davvero in colpa, anche se zia non mi ha rimproverato come meritavo.
I miei occhi pizzicavano e la gola faceva male, ci ho messo un po' di tempo per riprendermi nonostante sapessi di non aver aver fatto nulla di grave.
A peggiorare la situazione, la gelosia mi ha consumata viva. Fabio mi ha ignorata ed è stato circondato tutto il giorno dalle ragazze. Sapevo che fosse popolare ma non credevo così tanto, non lo lasciavano respirare nemmeno per un secondo.
Alex invece non mi ha tolto gli occhi di dosso. Qualsiasi cosa facessi, lui era lì. Ogni mio movimento era seguito dal suo sguardo. E ogni volta un brivido sulla mia pelle. Se ci penso, quando ho rovesciato il caffè lui era appena uscito dalla cucina, mi ha cercata con lo sguardo, sorridendomi malevolo non appena mi ha vista.
Alla fine mia zia si è offerta di riaccompagnarti a casa e nel tragitto non si è risparmiata di ricoprirmi di raccomandazioni. So che ha ragione, so che pur essendo la nipote non posso essere così presuntuosa da aspettarmi di non subire conseguenze per le mie mancanze.
Io sono lì per lavorare e devo impegnarmi.
Appena arriviamo, saluto mia zia scusandomi ancora e corro subito in casa.
Una volta finito di fare la doccia e indossato il top e il pantaloncino che utilizzo come pigiama, apro la porta a specchio scorrevole del terrazzino per sdraiarmi sul dondolo.
Un fresco venticello mi solletica, provocandomi la pelle d'oca. Dovrei tornare dentro a prendere qualcosa da mettere almeno sulle spalle ma preferisco restare qui a guardare la luna, priva di nuvole.
Le stelle e il cielo immenso mi donano pace e tranquillità ed è come se il dolce venticello portasse via con sé tutti i miei pensieri. Mi lascio cullare dal dondolo, chiudendo gli occhi e respirando profondamente.
Mi concedo solo poco tempo. Anche se ho finito il turno alle sette, mia zia ha avuto molto da fare prima di riaccompagnarmi e l'ho aspettata.
Mi alzo di malavoglia e torno dentro, lanciandomi sul letto. La stanchezza subito mi assale e, proprio mentre sto per chiudere gli occhi e addormentarmi, il vibrare del mio telefono mi distrae.
Lo afferro scocciata e lo sblocco, aprendo la casella dei messaggi.
Non è un numero che ho salvato in rubrica e mi acciglio, aprendolo.
"Notte, piccola" . Un cuoricino rosso.

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