Capitolo 2

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Brighton, 04 agosto 2004

Ricordo quel giorno come fosse trascorso ieri: si tratta del giorno in cui scoprii che Seo Dongsun aveva un talento incredibile per la scultura.

Avevamo dodici anni e, come ogni altro ragazzino, avevamo tutte le intenzioni di goderci le vacanze estive, specialmente considerando che le avremmo trascorse nella soleggiata Brighton dove i genitori di Dongsun avevano acquistato una seconda casa e dove potevamo correre a cavallo delle nostre biciclette come fossero stalloni da barrel. Hyunsu aveva più volte domandato a Dongsun - che ormai era davvero il suo più caro amico e, in un certo senso, anche il mio - se desiderasse sedersi dietro il suo destriero reggendosi con le lunghe braccia ai suoi fianchi, ma il ragazzo più giovane aveva declinato l'offerta con un sorriso e ci aveva augurato una buona corsa.

Così io avevo inforcato la mia mountain bike rossa fiammante e Hyunsu la sua blu notte e avevamo iniziato ad inseguirci sulle vie del lungomare superandoci regolarmente a vicenda e rischiando più volte di investire qualche povera coppietta innamorata o i loro cagnolini, specialmente quelli minuscoli con poco pelo sulla pelle.

Sfiniti, ci stendemmo sulla sabbia senza curarci del fatto che ci si infilasse tra i vestiti e impiastricciasse i capelli e Hyunsu sollevò le mani verso il cielo creando curiosi disegni con le dita.

«Perché Dongsun non è venuto?» domandai allora incuriosita reggendomi il viso con un braccio e volgendo il fianco a mio fratello.

Il sole baciava timidamente la sua pelle ancora liscia e creava piacevoli giochi di luce castani tra i suoi capelli scuri che vantavano lo stesso esatto colore dei miei; i suoi, però, erano tagliati corti e cadevano dritti sulla fronte mentre i miei ondeggiavano irregolari lungo la schiena, voluminosi come la criniera di Mufasa ne Il Re Leone.

«Ha detto che ha qualcosa da fare.» affermò Hyunsu con lo stesso tono di chi sapeva esattamente cosa stava nascondendo.

«E che cosa?»

«Non posso dirtelo,» esclamò cocciutamente «è una sorpresa.»

«Eddai, sono tua sorella!» mi lamentai io, colpendolo con una manciata di sabbia.

Lui rise e sputacchiò la terra granulosa e salmastra colpendomi a sua volta, e lottammo spensierati per alcuni minuti senza curarci degli sguardi di rimprovero dei maggiori e di quelli incuriositi e talora divertiti dei bambini.

«A parte gli scherzi,» aggiunsi quando ormai avevamo esaurito le energie«non pensi sia colpa mia, vero? A volte credo che se io non fossi qui, si sentirebbe meno a disagio.»

«Ma smettila, lui ti adora! Credimi, l'unica ragione per cui non è qui, è che ha qualcosa di importante da fare.»

«Importante quanto?»

«Più importante di questo!» così dicendo, Hyunsu sfilò i pantaloni e la maglietta rimanendo con il suo nuovo costume nero e lanciò le scarpe di lato per poi precipitarsi in acqua. Io lo guardai incredula prima di scoppiare nuovamente a ridere e lasciar cadere a mia volta il mio abito a fiori e raggiungerlo gridando non appena l'acqua gelida entrò in contatto con la mia pelle troppo calda.

A quel tempo, com'era giusto, pensavamo a tutto fuorché a ciò che ci avrebbe potuti ferire.

Mentre Hyunsu ed io nuotavamo beati giocando tra le onde, a pochi chilometri di distanza un ragazzino in abiti scuri plasmava un blocco di morbida argilla seguendo le linee che le sua mani avevano attentamente memorizzato.

Aveva sfiorato quel viso per anni e l'aveva riprodotto dapprima con il pongo e poi, quando si era ritenuto troppo cresicuto per quello, era passato ad un materiale più adatto, più aulico persino, che gli avrebbe permesso una risoluzione migliore.

La prima volta che aveva scolpito il volto di Hyunsu, egli era rimasto così stupito dalla somiglianza da avergli domandato di farlo di nuovo. Ancora, ancora, e poi ancora, e tutte le volte Hyunsu aveva fotografato il risultato e gli aveva assicurato che era perfetto, esattamente come guardarsi allo specchio.

Dongsun non aveva idea di come fosse fatto uno specchio ed effettivamente nemmeno di come fosse strutturato un volto umano; quando nasci cieco e il tuo mondo non è mai stato altro che un enorme buco nero, immagino che non sia facile - e forse persino impossibile - costruirsi una realtà completamente immaginifica. In ogni caso, il suo senso del tatto compensava di gran lunga la mancanza di quello della vista e, lentamente, aveva iniziato ad apprezzare la sensazione del materiale malleabile tra le dita fino ad arrivare a sfogare in quel modo ogni sua frustrazione. Aveva creato vasi, riprodotto dentature animali, abbozzato volti umani che nessuno credeva riconoscesse... ma lui sapeva ogni cosa. Conosceva ormai la linea dritta e sottile del naso di Hyunsu, meno marcato rispetto a quella di suo padre ma più accentuato di quello della madre. Riconosceva la curva timida dei suoi occhi e le increspature delle sue labbra. Sapeva esattamente dove la mascella si concludeva ed iniziava il collo e ricordava con precisione la posizione di quella cicatrice sul mento che si era fatto a causa mia a cinque anni quando durante un litigio in cui non avevamo fatto altro che spintonarci a vicenda lui era finito giù dalle scale con il viso dritto sull'asfalto londinese - sei punti di sutura.

Ed ora, tutto quello che ricordava di aver visto tramite le sue sottili mani era stato tradotto in arte grazie all'argilla, alla terracotta, e al silenzio che l'assenza dei due rumorosi gemelli comportava.

Quando Hyunsu ed io rientrammo, verso sera, Dongsun ci attendeva trionfante di fronte all'ingresso con le braccia imbrattate di fanghiglia fino ai gomiti e un sorriso inqueitantemente sbieco a decorargli il volto semimascherato.

Tra le braccia reggeva un mezzobusto che, senza alcuno sforzo, riconobbi come la copia esatta di mio fratello.

«Sai amico,» affermò Hyunsu orgoglioso, battendogli dolcemente una mano sulla spalla «credo che sia il più bello.»

Dongsun sorrise, ma non disse una parola.

Londra, 27 novembre 2004

Il Professor Filanda era un uomo sulla settantina, bianco di capelli e con la pelle segnata dagli anni che aveva vissuto sudando in primo luogo nelle campagne italiane durante l'infanzia.

Il suo talento per l'arte e per lo studio della stessa si era rivelato quand'era adolescente, ragion per cui si sentì incredibilmente graziato nel momento in cui scoprì ciò che Dongsun era in grado di fare, seguendolo quando il ragazzino si chiudeva nello studio artistico della nostra scuola e spariva alla vista del sole - e della pioggia - per molto molto tempo.

Parlò di lui ad un vecchio amico, il quale aveva aperto una galleria privata nei pressi del Shakespeare's Globe, che a sua volta si dimostrò immediatamente interessato alle particolari doti del ragazzo che non poteva vedere ma che la natura aveva dotato di una capacità decisamente inusuale: ciò che egli non poreva percepire con gli occhi, era ben chiaro alle sue mani.

Il nome di quel magnate contemporaneo era Richard Collins e, poco meno di un mese dopo, egli sarebbe divenuto ufficialmente il manager del piccolo prodigio della scultura globale.

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