"Promettimi che non ti muoverai di qui, promettimelo!" il terrore nei suoi occhi era inconfondibile, forse anche più del mio.
Le sue mani, gelate, salde sulle mie spalle e lo sguardo fisso nel mio.
"Mamma, non lasciarmi sola.. Ho paura!" singhiozzo.
Ma vedo i suoi occhi spalancarsi dal terrore e due enormi mani ricoperte da guanti neri tirarla via, lontana da me e le nostre urla si fondono.
Mi tappo le orecchie e cerco di sovrastare le sue urla con le mie, non lo sopporto, fa troppo male.
Urlo, urlo, non ne posso più.
"Signorina, signorina! La prego, si svegli."
Sbarro gli occhi e mi alzo di scatto.
Ho i capelli completamente appiccicati al viso e il pigiama zuppo di sudore, non riesco nemmeno a rendermi conto delle parole di Denise.
Mi tornano in mente, vividi, gli attimi di quel giorno e urlo, urlo ancora.
Sento Denise stringermi forte contro il suo petto, mentre io tengo le mani contro il mio, cercando di salvare il mio cuore distrutto.
E' facile fingere.
Fingere che vada tutto bene, che tu stia bene e che sia indistruggibile.
Nessuno sa cosa ti porti dietro, nessuno sa quanti notti hai passato in bianco, quanti singhiozzi sono stati soffocati contro il cuscino e quanto ogni sforzo di stare bene sia vano.
Il dolore si affievolisce con il tempo, è vero, però è sempre lì. Non se ne va.
Ma cerchi di indossare un sorriso, di farti forza e di andare avanti, pensando 'un giorno passerà'.
Non vedo l'ora che passi."Shh... Tranquilla" sussurra al mio orecchio.
Denise adesso mi sta cullando e io non mi ero nemmeno accorta di aver smesso di urlare.
Mi stacco da quell'abbraccio, asciugandomi le guance umide con il dorso della mano.
"Tuo padre mi aveva avvisato che sarebbe potuto accadere.." .
"Mi manca", confesso.
"Lo so, piccola".
Denise resta in camera mia fin quando non è sicura che io stia bene.
Recupero il cellulare dal comodino per scoprire che sono già le sei del mattino, decido quindi di alzarmi definitivamente e andarmi a fare una doccia.
Sono ancora sconvolta, nonostante questi incubi contornano le mie notti da ben tre anni. In teoria dovrei essere abituata, no?
Invece no. Tutte le volte sembra peggio.
Mi spoglio gettando tutti i vestiti per terra, penserò dopo a raccoglierli.
Entro nella doccia e apro il getto d'acqua, che mi investe facendomi rendere conto di quanto ne avevo bisogno.
Appoggio la schiena contro le mattonelle della doccia e resto così per una decina di minuti.
Non avevo più incubi da poco meno di una settimana, ma mi sono illusa se pensavo che non sarebbero più venuti a tormentare il mio sonno.
Chissà se anche mio padre puntualmente si sveglia, tutte le notti, madido di sudore e con il dolore nel cuore.
Finisco di lavarmi ed esco dalla doccia.Quando scendo in cucina sono già le sette e, pare, che tutto stia seguendo l'apparente normalità di tutte le altre mattine.
Denise mi sorride incoraggiante, io mi limito a ricambiare timidamente."Buongiorno tesoro", mi saluta mio padre cingendomi in un abbraccio.
Affondo la testa nel suo petto come quando ero piccola e respiro l'odore familiare della sua maglietta.
"Buongiorno papino" dico, sperando che la mia voce sia sembrata così rauca solo a me.
"Steph, seriamente.. Quella cravatta è terrificante!" mormora Kayla, seduta dietro di me.
Fingo di guardare attentamente la lavagna, mentre cerco disperatamente di non ridere.
"Parker, Hemmings! Cosa avete da dire di così tanto divertente?" sbraita esasperato il professor Collins.
"Nulla, professore, continui pure." rispondo, cercando di mantenermi il più seria possibile.
Lui si volta nuovamente verso la lavagna e imprigiono il labbro tra i denti per impedirmi di ridere.
Non è certamente colpa mia se sta mattina ha deciso di venire a scuola con quella ridicola cravatta a pois verde e rossa.
"Secondo me lo hanno costretto", continua Kayla dietro di me, ma sta volta il professore si gira con le fiamme nello sguardo e sbatte il pugno sulla cattedra, facendomi sobbalzare dalla sedia.
"Parker, se ne vada fuori!" sbraita.
Questo qui sa solo sbraitare.
Sbuffo e prendo la mia roba per metterla nello zaino. Figurati!
Ci mancava solo questa.
Esco dalla classe, non prima di incrociare lo sguardo mortificato di Kayla. Le mimo un 'tutto ok' e chiudo la porta alle mie spalle.
Passo i seguenti venti minuti a far avanti e indietro davanti la porta o seduta nel corridoio, quando decido di alzarmi per andare verso il mio armadietto.
Sfortuna vuole che, proprio quando sto per superare il bagno, la porta di quest'ultimo viene spalancata sbarrandomi il passaggio.
Avrebbe anche potuto prendermi dritto in faccia!
Non che ci sia il rischio che il mio viso subisca più danni di quanti già non abbia, mi deride il mio cervello.
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Non tutto è come sembra. ~ L.H.
FanfictionStephania, ha solo diciotto anni eppure ha già avuto modo di conoscere cosa sia il dolore. E' stato difficile andare avanti dopo la morte della madre, ma adesso ha deciso di trasferirsi insieme al padre a Sidney. Purtroppo, nonostante sperasse di p...