Slave

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Ferito. Umiliato. Sconfitto. Punito.

Fu con questi pensieri che si sentì trascinare di peso da due soldati del Corpo di Ricerca, intenti a condurlo a quello che doveva essere il suo "alloggio", ma che aveva tutto tranne l'aria di un posto tranquillo dove passare notte e giorno.

Con le mani ancora ammanettate e un rivolo di sangue che sgorgava dalle labbra tagliate, Eren percorse quel lungo corridoio che già una volta lo condusse alla sua sorte, una sorte che non meritava ma da cui non poteva sottrarsi. A conti fatti, lui non era un mostro, ne tanto meno un animale feroce, ma nonostante questo ancora si ostinavano a trattarlo come un pezzente. I soldati si tennero a debita distanza dal "mostro" per paura che da un momento all'altro potesse lacerare le loro candide camice, stropicciare le loro fottute divise e cibarsi di quello schifo di carne che li componeva, ma che ad Eren parve più un ammasso di sangue e tessuti da cui voleva tenersi il più lontano possibile.
Insomma, chi mai avrebbe voluto cibarsi di codardi? Nessuno. Per Eren risultò difficile formulare un pensiero simile, ma in qualche modo e per qualche ragione, se lo sentiva dentro, nell'anima.

"Idioti" pensò Eren.

Imprecò quando sentì la punta di una spada a contatto con la schiena e si chiese fino a che punto avrebbe potuto sopportare di essere trattato come un eretico. Inaspettatamente, i soldati davanti a lui imboccarono il corridoio inverso a quello che portava ai sotterranei e la confusione aleggiò nella mente del ragazzo-titano e dei due soldati dietro di lui che, stando all'apparenza, erano all'oscuro di tutto.

< Evitando formalità inutili, Eren, Levi vuole vederti e ci saranno anche Hanji e Mike.> con voce decisa, queste parole uscirono dalla bocca del Comandante Smith.

Quella figura così autoritaria, ferma, decisa, mascolina e sincera, aveva sempre provocato in Eren un senso di ammirazione fin dall'infanzia, quando lo vedeva smontare del cavallo dopo aver concluso e allo stesso tempo mandato all'inferno l'ennesima missione. Si sorbiva tutti gli insulti da parte del popolo del Wall Maria, e da una parte pensava di meritarseli tutti in quanto Comandante di quelle anime divorate e squartate dai titani, ma dall'altra aveva una forza strana: come una stoffa di accensione che riceveva una scarica elettrica, diffondendo le scintille provocate per tutto il corpo, infiammandogli la mente e annebbiando la sua ragione. Allora si accasciava a terra e dava sfogo a tutte le emozioni represse nei giorni a dietro.

Ma Eren si ricordò anche che Erwin e Levi andavano particolarmente d'accordo, probabilmente perché il Capitano si mostrava impeccabile agli occhi dei suoi superiori, o semplicemente, forse, perché perfino il Comandante si era reso conto che trattarlo con rispetto era l'unico modo di sopravvivere senza finire con la gola tagliata da Ackerman.

Il ragazzo, ricevendo uno strattone alla catena delle manette da parte di un commilitone, reagì bruscamente, tirando uno spintone all'uomo in divisa e cercando, invano, di colpire il soldato con un pugno, che venne bloccato dalla presa ferrea del Comandante.

Il viso di Eren andò in fiamme sia per la rabbia che per l'imbarazzo di essersi lasciato trasportare dalla provocazione di quel bastardo, benché fosse un cadetto come lui. Ma non provò mai quell'imbarazzo che aveva sperimentato sulla sua pelle poco prima e di cui ancora portava i segni e quando Smith lasciò l'avambraccio di Jeager e la marcia riprese, si ricordò del dolore provato poco prima, quando Levi lo prese a calci davanti a tutti: Corpo di Gendarmeria, Corpo di Ricerca, Corte, Zacklay, Armin, Mikasa...

Il primo calcio fu talmente tanto violento quanto inaspettato e dato con la forza sufficiente per staccargli un dente. Il secondo non si fece attendere, anzi, si abbatté su di lui colpendolo sulla schiena, ma senza lasciare segni. Sembrò che la furia si fosse tranquillizzata, quando sotto gli occhi increduli di un centinaio di militari, Levi prese Eren per i capelli e lo guardò in volto.

Hecatomb TitanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora