Capitolo 4

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Katia

Apro la prima pagina del libro e sto per cominciare a leggerlo quando mia madre grida dal giardino:- KATIA.-

Guardo l'orologio: le sei e mezzo. Farò tardi in palestra. Mi cambio, indosso i pantaloni di tuta e il top che mi arriva sopra l'ombelico per fare palestra. Corro giù per le scale. I nuovi vicini sono simpatici. La moglie si chiama Mara, è mora e ha gli occhi azzurri come l'acqua del mare poco profondo. Il marito, Thomas, è simpaticissimo, ha gli occhi marroni e i capelli biondi. Lo stesso bambino che oggi era in biblioteca mi viene incontro.

-Ciao io sono Marco-. Mi sorride, gli occhi scuri come quelli del padre pieni di gioia. -Ciao Marco, io sono Katia- Gli porgo la mano e appena si avvicina per stringermela, la allontano, lasciandolo con la mano a mezz'aria. Scoppia a ridere e abbraccia le mie gambe, anche perché più in su non potrebbe arrivare.

-Katia, quello è mio figlio Simon.- mi dice Mara indicandomi Lory, il loro cane, e Ettore. All'inizio non capisco, poi vedo sbucare una mano da sotto quella massa di pelo giallo. Il ragazzo si alza e, appena mi vede, rimane scioccato quasi quanto me. E' il ragazzo della biblioteca, quello che mi ha fatto l'occhiolino. Ci stringiamo la mano. Lui è abbastanza in imbarazzo, ma io non mi lascio illudere dalla sua messa in scena. Lo guardo con uno sguardo freddo. Mi fissa un po', forse notando il modo in cui sono vestita.

-Adesso dovremmo andare di nuovo in comune, Simon se vuoi rimani pure a casa- dice sua madre.

-No, perché lasciarlo da solo. Sentite, adesso porto mia figlia in palestra, se vuole Simon può venire con noi e rimanere lì a vedere Katia, almeno possono conoscersi-. A volte vorrei strozzare mia madre per queste idee 'GENIALI'.

-Benissimo, se a te va bene-. Il ragazzo mi fissa con sguardo assente tanto che per farlo rispondere sua madre deve schioccargli le dita sotto il naso. Si riprende di scatto e annuisce.

-Okay, ci vediamo dopo tesoro-. Mara e Thomas se vanno e mia mare ci fa montare in macchina.

-Allora caro, ti piace vivere in Italia?-

-Molto signora Tonucci. La sua è una casa splendida.- Lo dice in tono così educato, così da adulatore, che se non conoscessi davvero com'è direi che sia un ragazzo gentile, perfetto. Ma nella sua voce però non trovo quella nota che c'è di solito nel tono di ogni ragazzo.

O è sincero, o è un bravissimo bugiardo. Arriviamo alla palestra. Scendo dalla macchia e Simon si offre di portarmi il borsone.

-Ce la faccio benissimo da sola- bofonchio irritata. Saluto mia madre e entro nell'edificio a passo svelto.

-Ehy amico, non farmi fare brutte figure, non ficcanasare e … Cerca di non dare noia alle me amiche.-

-Mi hai chiamato amico?-. Sorride alzando una parte della bocca e facendo formare due fossette sulle guance. Forse penserà che con me funzioni così, che io possa sciogliermi ai suoi piedi, proprio come con le altre, ma quel sorriso ha solo il potere di confondermi. Mi perdo in quegli occhi azzurri. Ma cosa sto facendo? Entro nella sala da ballo, mi metto i pantaloncini e l'insegnante accende la musica. La gente che fino ad ora aspettava viene al centro della pista. Faccio riscaldamento, corro per almeno dieci minuti in intorno alla pista e poi mi fermo.

-Okay ragazzi, proviamo il balletto per lo spettacolo- Inizio a ballare. Faccio hip-hop da sempre. Il ricordo più vecchio che ho sono io e la mia prima maestra che balliamo. Mi lascio trasportare dalla musica. Adesso non ballo più su quel duro pavimento di legno, ma salto da una nota all'altra. La canzone finisce e così anche il nostro balletto. Miglioro alcuni pezzi, aggiungo nuovi passi e riproviamo il balletto completo. E' un po' come un puzzle: a mano a mano che aggiungi le parti mancanti la figura prende vita. Qui tutti mi considerano come una 'seconda insegnante', perché so molte cose sul ballo e aiuto gli altri a creare nuovi balletti. Guardo l'orologio appeso alla parete: le otto e mezzo.

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