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«Edo!» chiamò Greta, sovrastata dalla musica.

Il ragazzo tenne lo sguardo fisso su di me e avvicinò le sopracciglia. Allora decisi di allungarmi sul tavolo per porgergli la mano. «Io sono Cecilia.»

Afferrò la mano con riluttanza e alzò il mento; con quel gesto mi accorsi dell'anellino alla narice sinistra che aveva. «Edoardo.»

Tornò a incrociare le braccia e poi sparì tra la folla. Mi risedetti e guardai confusa Cristina. «Che problemi ha?»

Alzò le spalle e continuò a far ciondolare la testa a ritmo di musica. «Lascialo stare, Chechu. E' fatto così. Devi dargli un po' di tempo per abituarsi all'idea, è un tipo molto abitudinario. Lo conosco da anni e devi lasciare che si avvicini lui, altrimenti lo spaventi. Come un animale» rise e si coprì la bocca con le mani. Fu una scena dolcissima.

Quando tornarono Luca e Juan con loro c'era anche Edoardo, che si accomodò al bordo.

«Come mai sei qui, Cecilia?» si incuriosì Luca, bevendo uno strano liquido blu.

«Mi sono appena laureata.» L'orgoglio traspariva dalla mia voce.

«In che cosa ti sei laureata?» chiese a sua volta Greta.

«In psicologia.»

Luca fece un fischio. «Wow. E' difficile!»

Alzai le spalle e risi. Luca era un ragazzo davvero simpatico e il suo sorriso radioso era contagioso. Intrecciò le dita con quelle di Greta e le rivolse uno sguardo che mi raggelò. Era uno sguardo carico d'amore, quello sguardo che ti attraversava dentro e ti accarezzava il cuore, quello che ti faceva capire che quella persona sarebbe stata disposta a dare la vita per l'altra. Un po' come Tristano guardava Isotta.

Poi alzò il suo bicchiere. «Un brindisi per Cecilia!»

Tutti urlarono, compreso Juan che fece una faccia buffa e provocò una risata mia e di Cristina. In quel momento partì una canzone spagnola ed io e mio fratello rizzammo la schiena, guardandoci immediatamente. Corremmo in pista, scavalcando in malo modo un po' tutti, per ballare e cantare a squarciagola quella baciata remixata.

Nel nostro paese il non saper ballare la baciata era un'offesa alle tradizioni. Io l'avevo imparata quando per sbaglio quando in radio era passata una vecchia canzone, mi trovavo a casa di mia nonna e mi insegnò tutto. In quel momento mi balenò la risata di nonna Marìa prima di morire.

Quando tornammo dagli altri, Cristina rideva e Greta ci applaudì. «Cosa darei per saper ballare come voi! Sembrate dei professionisti!»

Juan si vantò per la mezz'ora successiva fino a quando fecero passare la mia canzone preferita: Hey Mama. Mi buttai di nuovo nella mischia, stavolta con Cristina. Ballammo a perdifiato, strusciandoci tra di noi, ridendo e Cristina facendo svolazzare il suo vestito rosso. Si era sciolta anche i capelli e adesso li faceva ondeggiare a destra e a manca.

Le canzoni si susseguirono e due ragazzi ci vennero dietro, allora ci spostammo più in là. Da due, i ragazzi ne divennero tre, poi quattro finché mi bloccai in preda al panico. Odiavo avere gente a me sconosciuta così vicina.

Juan venne al volo quando incrociai il suo sguardo, ci mise le braccia attorno al collo e con uno sguardo strafottente verso quei ragazzi, ci riportò al tavolo.

«Tieni, bevi questo Chechu», mi porse la mia coca cola. Conoscendomi aveva capito che l'attacco di panico era stato sfiorato.

«Tutto apposto?» mi chiese Cristina. Annuì e comunicai loro che sarei andata a prendere una boccata d'aria. Quando uscii mi venne un brivido di freddo, nonostante non lo sentissi data la calda temperatura. Forse perché la cappa di dentro aveva trapassato le mie ossa e il sudore non aiutava.

Nobody but us.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora