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Quando arrivammo a casa erano ormai le due passate. La macchina della zia Marìa non c'era, simbolo che avrebbe fatto il turno di notte. Ne fui contenta, così non avrebbe visto Cristina conciata in quel modo.

«Vuoi una mano?» chiesi a mio fratello mentre tenevo lo sportello della macchina aperto per farli uscire. Juan scosse la testa e afferrò Cristina da sotto le cosce per issarla bene mentre scendeva dall'auto.

Aprii la porta d'ingresso e accesi la luce. Edoardo varcò la soglia a testa china per ultimo, aveva le mani nelle tasche dei pantaloni blu e la camicia bianca metteva in risalto i muscoli delle sue braccia.

«Chechu, puedo te veo por un minuto?» Juan mi riscosse dai miei pensieri e mi voltai verso la cima delle scale. Era senza mia cugina e la sua espressione abbattuta mi fece preoccupare.

«Todo bien?»

«Dovresti, mh... Cambiare Cristina.» Nonostante avesse la carnagione olivastra, il colore roseo che si impossessò delle sue guance mi fece sorridere. Voltò la testa di lato e gonfiò le guance come un bimbo.

Andai in camera e la trovai stravaccata su un fianco sul letto. Sbuffai dopo aver scoperto quanto fosse stretto quel vestitino, ma riprovai a cacciarlo da sopra per poi darmi della stupida quando vidi una cerniera sul retro. L'abbassai e glielo sfilai, poi presi una maglietta di Juan ripiegata alla base del letto e gliela misi. Sistemai i suoi capelli sul cuscino e preferii non struccarla, l'avrei solamente svegliata.

Accarezzai il suo braccio prima di tirarle il lenzuolo su e andare in camera mia per cambiarmi. Mi spogliai e misi i pantaloncini di Juan e una canotta, poi legai i capelli in una coda e andai in bagno per ripulirmi dal trucco. Una volta tornata in stanza mi osservai allo specchio e non mi importò nulla del fatto che Edoardo e Juan stessero di sotto ed io stessi per raggiungerli.

Però sciolsi la coda prima di prendere la mia macchinetta fotografica e fare le scale. Edoardo era in salotto a petto nudo seduto sul divano, balzava i canali con la luce d'ingresso accesa. Notai il tatuaggio spuntare dal pantalone scuro e lo invidiai, anche io ne volevo uno in quel punto. Ma in Argentina i soldi scarseggiavano e, per quanto io e Juan potessimo lavorare, non erano mai abbastanza per le spese essenziali da sostenere.

Uscì dalla porta dopo aver preso le chiavi dal piattino all'ingresso e sospirai, aspettando che quel momento nostalgico passasse. Mi mancavano tanto mamma e papà, i loro sorrisi caldi e gli sguardi complici fra di noi. Pensai alle torte che sfornava mamma quando papà rientrava stanco a casa dal lavoro, tutto sporco di fango. Ma anche in quel caso lei gli correva incontro e si baciavano come probabilmente il primo giorno che si erano messi insieme.

Arrivai alla fine del vialetto di casa di zia Marìa e fotografai un albero scarsamente illuminato da un lampione morente. La mia passione per la fotografia era nata a dodici anni quando a La Boca, un giorno in cui l'aria era particolarmente afosa, ero arrivata in un edificio abbandonato a se stesso e allora salì fino in cima, beandomi della sua vita. La mia città baciata dal sole rovente che ci contraddistingue. Avevo immortalato quel momento nella mia mente e da lì si era accesa quella fiamma che continua ancora oggi a bruciare.

«Disturbo?»

La voce di Edoardo mi fece pietrificare con l'obiettivo ancora vicino l'occhio, ma poi mi girai per fotografare il suo viso. Il flash lo sorprese, difatti l'immagine che presi fu bellissima.

«Questo non è corretto!» esclamò arrivandomi vicino e ridendo, abbassandomi la macchinetta ancora puntata su di lui.

Risi anche io e vedere il suo naso arricciato mi fece venire voglia di fotografarlo di nuovo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 06, 2017 ⏰

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