Capitolo 1: Un nuovo inizio

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Fa caldo in questa scuola.

Vorrei mettermi in maniche corte e togliere questa felpa nera con disegnato a mano un viso bianco, circondato da foglie.
Ma non voglio. Per due ragioni.

Me l'ha fatta e regalata mio fratello, Dave, che non è più qui. Era un artista, bravissimo a disegnare. Con le sue mani creava capolavori. Rimanevi incantata ore e ore a guardarlo dipingere, con l'espressione concentrata di chi tenta di creare la perfezione.

La seconda ragione per cui non voglio togliermi la maglia è che tutti, notando i lividi e i segni sulle braccia, mi farebbero troppe domande.
"Ma i tuoi ti picchiano?" "Ti droghi?" "Sei autolesionista?"

Alla gente manca la fantasia. Non gli verrebbe neanche in mente quello che facevo per davvero. Quello che facevo le sere, un po' come secondo impiego, oltre a quello di studente.

Andavo a caccia di vampiri.

Amavo farlo, li bloccavo, li intrappolavo, e poi piantavo loro un paletto nel cuore.

Amavo farlo con mio fratello e con mio zio. Uscivamo di notte, esaminavamo le tracce come detectives, ci lanciavano all'inseguimento. E venivamo pagati. Facevamo parte della Mondial, un'organizzazione mondiale segreta per la difesa del genere umano contro la minaccia dei non morti. La Mondial, sebbene abbia un esercito proprio, assume anche i cosiddetti "braccianti", come la mia famiglia, gente che agisce secondo le proprie regole ma rispettando le clausole del contratto. Il lavoro era la mia ragione di vita. Mi sentivo onnipotente nel sapere che grazie a me la gente tornava a casa la sera, poteva riabbracciare la famiglia, avere una vita normale, potesse vivere. Tutto questo, però, fino a due mesi fa.

Fino a che non ho ucciso Dave.

Sono un mostro anche io.

Mi guardo le mani, che stringono sudate l'orario scolastico.

Sono un'assassina. Assassina, apatica, senza cuore, bastarda crudele, stronza. Le parole di accusa gridate da Lucy, la fidanzata di mio fratello, mi rimbalzavano in testa.

Non ci sono scuse per chi uccide la propria famiglia. Mia madre è morta, e spero che in cielo non mi abbia visto. Ho ucciso suo figlio, il suo bambino. Lacrime mi annebbiano la vista. Lucy non ha capito... Nessuno può capire... Lui era già morto. Non c'era più nulla da fare per salvarlo. Ho fatto ciò che dovevo. Quello che Lucy mi ha visto abbracciare come se fosse un fagotto, appena entrata nella stanza, non era altro che un involucro vuoto, un corpo che non poteva più pensare, provare emozioni, amore, nulla di nulla, già da prima che il paletto entrasse nel cuore di mio fratello. Lucy non ci voleva credere, voleva denunciarmi per assassinio. A quel punto...

Ahi.

Qualcuno è andato a sbattere contro la mia schiena. Mi accorgo che una lacrima mi scende sulla guancia.

-Sta più attento!- dico ad un ragazzo muscoloso, rosso di capelli con lo sguardo fisso sul cellulare.
-Scusa tanto- mugugna ironico, senza neanche alzare lo sguardo dallo schermo.

Non finisco neanche la frase. Mi fermo.

È incredibile. Questo ragazzo ha una cicatrice nel labbro.
Come Dylan... Possibile che...?
Dylan, uno dei miei più cari amici quando avevo un vita normale, nella città dove ho vissuto per anni, a Phantville...
Siamo stati amici fino alla seconda media. Poi mia madre è morta, e ci siamo trasferiti dallo zio, a New York. E da New York, poche settimane prima, siamo scappati in una città non molto distante da Phantville, dove mio zio ha trovato lavoro in uno studio di architettura, spolverando la sua vecchia laurea.

Ma Dylan... Non può essere lui. Lui era rimasto a Phantville.
O no?

Eppure non esistono molti ragazzi con i capelli rossi, gli occhi azzurri e una cicatrice nel labbro e con lo stesso viso, in questa città minuscola e dimenticata da Dio.

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