Capitolo 3: Un Luogo Sicuro

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-Vieni con me.
Dylan sembra spuntato dal nulla, mi prende la mano e mi trascina con lui. Più confusa che mai, mi stacco ma continuo a seguirlo.

Sono ancora in ciabatte, e questo mi rallenta non poco. Lo osservo mentre corre davanti a me, con ancora lo ziano di scuola sulle spalle. Deve avere origliato la mia conversazione, è evidente. Altrimenti perché mi aiuterebbe a scappare? Mi chiedo però cosa abbia capito. Tutto quel discorso sugli H, contratti, Antichi.

Ho sempre avuto l'impressione che Dylan sapesse più di quello che mi diceva, ma adesso ne ho la conferma. Dylan mi sta davvero aiutando? Può essere della Mondial anche lui, per quanto ne so.

-Siamo quasi arrivati.

-Dove? -chiedo sospettosa.

Ignora il mio tono e mi conduce dentro un vialetto e apre un garage con un telecomando che cerca nello zaino. Stordita come sono, ci metto un po' a capire che è casa sua. Mentre apre il garage, mi siedo per terra dietro ad una siepe, nascosta dalla strada, in silenzio.

Avrei così tante cose da fare, da chiedere,  ma nella mia mente vedo solo mio zio con una pistola per mano, puntate verso due agenti della Mondial. Non poteva starsene così per sempre. Cosa sarebbe successo? Probabilmente avrebbe aspettato teso che io mi allontanassi, per poi abbassare le pistole. Oppure li avrebbe legati uno alla volta con delle fascette da idraulico. Oppure ancora i due agenti potrebbero essersi liberati, tramortendo mio zio, ed erano già sulle mie tracce. Tramortito, o peggio.

Un singhiozzo mi sfugge dalla bocca e Dylan si gira a guardarmi. Ha aperto il garage e sta trafficando con una moto da cross tutta sporca di fango.

-Non stare lì per terra, vieni dentro.

Aspetto che il rumore della macchina che sta passando sulla strada si faccia distante, dopo un cenno di Dylan entro nel suo garage e mi appoggio su un muro protetto dalla strada.

-Hai origliato, vero? Cosa ne sai?- Chiedo mentre il ragazzo attacca dei cavi a quello che immagino sia il motore. Speravo di infondere sospetto con il mio tono di voce, ma esce più come un lamento.

-Abbastanza da sapere che se o la Mondial o i vampiri ti trovano sei morta, o comunque pappa per sanguisughe, che Dave non è scappato ma l'hai ucciso tu, che tu e tuo zio eravate braccianti, e che adesso tu sei nella merda fino al collo.

Rimango esterrefatta, la realtà mi colpisce come un pugno, non riesco a trattenere più le lacrime e i singhiozzi.

-Come puoi dire... che l'ho ucciso? Non l'ho ucciso... Io non lo sapevo che...
Lo guardo negli occhi investita da questa nuova, terribile consapevolezza.
-Io l'ho ucciso sul serio.

Dylan si avvicina mortificato grattandosi la nuca. -Non è quello che volevo dire, scusa, io...

-Torna ad aggiustare quella cazzo di moto.
-Non ci vorrà ancora molto, lo giuro. Poi ti porto in un posto sicuro.
Sì chinò sui pedali con una chiave inglese in mano, imprecando qualcosa verso qualcuno che gli aveva promesso che glie l'avrebbe aggiustata quest'estate.

-Dylan.
-Mh?
-Perchè mi stai aiutando?
-Perchè sei mia amica.
Non mi soddisfa come risposta. Lui non stacca lo sguardo dalla moto, ne sembra voglia aggiungere altro, e non insisto oltre.

-Non mi sento al sicuro qui.
Sussulto ogni volta che un auto passa per la strada. Sembra quasi che una si fermi davanti a casa di Dylan. Mi sporgo lentamente per osservare e vedo che è un vecchietto con un vacchio camioncino che entra nel vialetto di fronte a noi. Appoggiata al muro, torno a respirare. Dylan continua imperterrito il suo lavoro per un altro minuto che sembra durare un eternità, poi si arrende.

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