Parte 11, senza titolo

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Lorenzo

Mi svegliai piano. Ripresi lentamente coscienza, ma senza aprire gli occhi. Inspirai profondamente. Un profumo di iris invase le mie narici e ricordai. Inspirai di nuovo e sentii la pelle di Lara sotto i miei polpastrelli.

Aprii gli occhi e rimasi abbagliato dal raggio di luce che filtrava dalla finestra con gli scuri ancora spalancati. Girai la testa verso sinistra, ancora affondata nel cuscino. La ragazza accanto a me dormiva rannicchiata su un fianco, dandomi le spalle. Si era completamente liberata della coperta, che giaceva fra noi stropicciata in modo strano.

Mi issai su un gomito e mi voltai per vederla meglio: la maglietta bucherellata che indossava le era salita fino a metà schiena, lasciando scoperti due segni neri che attirarono la mia attenzione. 

Guardai meglio e riconobbi dei piumaggi. Capii che erano le punte di due ali che, a giudicare dalle dimensioni, dovevano ricoprirle tutta la schiena.

Morivo dalla curiosità di scostare di un po' il tessuto, per vedere se le mie supposizioni erano corrette. Mi imposi di non farlo. Guardai la scrivania, la sveglia segnava le sette e trenta. La stanza sembrava molto più grande della sera precedente e i fogli attaccati alle pareti creavano strane ombre sul muro sottostante. Anche i disegni sembravano molti di più e molto più pieni di vita. Li osservai con attenzione: parecchi fiori, molti iris, molte matite. Mi domandai che senso avesse disegnare ciò che normalmente si usa proprio per disegnare.

Un paio di ritratti di persone che non avevo ovviamente mai visto, un'auto, qualche paesaggio... e un paio di ali. Eccole lì, un disegno accurato, inchiostro nero su un pezzo di carta un po' stropicciato. Maestose e sinuose. Le guardai la schiena.

Non avevo dubbi, era lo stesso disegno. Si mosse leggermente e mi chinai a scostarle una ciocca di capelli scuri che le era ricaduta sul viso. Quante cose avrei scoperto su di lei? Quante cose non sarei mai riuscito a sapere?

Prima che potessi ritrarre la mano, appoggiò la sua sulla mia.

«Buongiorno»

«Buongiorno», mi rispose con una voce roca che non ricordavo. Si voltò e mi sorrise. Vidi una persona diversa, con un sorriso contagioso che davvero non ricordavo. 

Sarebbe stato sempre così con lei? Ogni giorno svegliarsi accanto a qualcuno sempre diverso, con mille sfaccettature da scoprire lentamente... e forse senza essere in grado di vederle tutte.

Avrei voluto provare.

Non avevo mai passato un momento del genere. Così semplice. Così perfetto.

«Sei sveglio da molto?»

«Solo un po'»

Mi guardò e incatenò i suoi occhi ai miei. 

Si, avrei fatto di tutto per potermi svegliare così tutte le mattine, per sempre.

E poi scoppiò a ridere.

«Che c'è?» Le domandai più confuso di prima.

«Niente, hai una faccia...» Si portò una mano alla bocca per cercare di trattenere le risa. «A cosa stai pensando?».

«Sto pensando che tu sia tutta matta». E la zittii con un bacio.

Si staccò subito e si girò dandomi le spalle. «Sono offesa Ostuni, solo io posso dubitare della mia sanità mentale. Non sei autorizzato».

La maglietta si sollevò di nuovo e non riuscii a resistere. 

Seguii con le dita le linee del tatuaggio che le si arrampicava sulla schiena, abbracciando le scapole e arrivando alle spalle. La sentii irrigidirsi sotto il tocco della mia mano. Non parlò e non ebbi il coraggio di chiederle nulla.

«Ti starai chiedendo perché...»

Ritrassi la mano. «N-No... non devi. Non sei obbligata.» Volevo tutto, ma non rovinare quel momento, che era così vicino alla perfezione.

«Avevo un ragazzo» Mi interruppe. «Non ne ho più parlato con nessuno. E non è facile, ma anche solo per il fatto che sei qui, è giusto che tu sappia chi sono. Poi potrai scegliere se restare o lasciarmi perdere, cosa che al tuo posto probabilmente farei.»

Avrei voluto non sentire più nulla, ma ero divorato dalla curiosità.

«Davide era più grande. Era perfetto. Era capitano della squadra della scuola e tutta la mia vita. Finito il liceo saremmo dovuti andare a stare insieme, nell'appartamento dove si sarebbe trasferito per l'università.  Avevamo in programma di costruire un futuro insieme. Era tutto perfetto, non avrei mai voluto cambiare qualcosa e non avrei potuto chiedere di meglio. Era una presenza importante a scuola: tutti lo conoscevano e tutti lo ammiravano. Non so perché mi amasse. Non ero alla sua altezza, come diceva sua madre. Però mi amava veramente ed era sempre presente. Quando avevo bisogno di lui, c'era. Diceva che ci sarebbe sempre stato, anche nelle notti più buie.»

Inspirò profondamente. La sentii tremare.

«Poi è morto.»

Mi strinsi a lei, quasi facendole male.

«E di me non è rimasto nulla» Si girò verso di me e appoggiò il viso contro il mio petto. «E se sei interessato a me, sei tu il matto.»

La strinsi più forte.

«Un mese dopo disegnai un paio di ali sul retro del menù d'asporto del cinese in fondo alla strada. Sono uscita dal locale e sono andata a farmele tatuare. Non mi sono soffermata a pensarci nemmeno per un secondo, ma non me ne pento. Non le posso vedere, ma so che sono con me. Un po' come Davide.»

Mi raccontò che voleva studiare disegno, ma che da mesi non riusciva più a disegnare niente. La ascoltai in silenzio tenendola stretta a me, temendo che spiccasse il volo.

Mi addormentai di nuovo.

Light up || Lorenzo OstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora