Justin Mead sedeva a tavola con la sua vicina di appartamento e il suo nuovo ragazzo. Si limitava a guardare il piatto, ma il suo stomaco, che non sopportava molto la cucina etnica marocchina, si lamentava con grugniti e lamenti. Tentava di sentire senza ascoltare, cioè senza considerare il discorso che Misty e il ragazzo, George, ormai portavano avanti da tutto il pranzo: come si erano incontrati.
A Justin non dispiacevano i cambiamenti, sopratutto se erano temporanei e garanzie di future stabilità. Se era a casa di Misty Cromwell, lo si doveva al suo amore per la routine. Aveva accettato di pranzare da Misty con la convinzione di non doverlo più fare in futuro e che non questo semplice gesto di conveninza avrebbe allontanato ogni futuro imbarazzo - perchè a Justin il cambiamento induceva imbarazzo.
- Devi capirlo, Justin. Io avevo deciso di non amare più nessuno...e invece! eccola qui, lei! la mia adorata Misty!
- Ti credo, George.
- A te è mai capitato?
- Credo di no.
- Allora come puoi credergli? - chiese Misty
- Gli credo e basta. Forse non proverò molti sentimenti, ma posso sentire il suo trasporto, posso sentire quanto sia palpabile e presente questo trasporto e che non solo un fiume di parole ipocrite...
George sorrise illuminato.
Justin, imbarazzato, lasciò scivolare lo sguardo prima verso il piatto, poi verso il bordo del tavoloe infinie oltre la finestra. Inconsciamente, aveva tentato di gettarsi fuori dalla finestra per tentare di sfuggire alle attenzioni dei due padroni di casa.
***
Quando si salutarono e la porta dei suoi vicini si richiuse, Justin trattenne il respiro e finchè non si lasciò alle spalle il portono del palazzo, non si permise di respirare.
Non appena udì il clacson di un'autocisterna che passava per la strada, si destò di colpò. Si era dimenticato di respirare e iniziava a rendersi coto che si era lasciato ipnotizzare dai vicini, dal loro appartamento dai colori accesi, dalle gigantografie di temi marini, dall'entusiasmo euforico dell'inesperto George e dall'ipocrita gentilezza di Misty. Ora, per la strada, con la polvere e i gas di scarico, Justin tornava apercepire la vera essenza della vita metropolitana e decise di andarsene al suo Tea Room personale.
***
Al Tea Room di Glauber Street, Justin prese posto in fondo, con le spalle al muro e il fianco destro al vetro sulla strada. Gli piaceva guardare i passanti e poi dimenticarli. A volte veniva guardato, a volte no. TUtto rimaneva anonimo e casuale.
La signora Ping-Jo-Soon si fermò al suo tavolo.
- Oggi più presto del solito. Cosa accadere? Licenziamento? - Justin si voltò a guardarla senza parlare - Io non volere impicciare. Un buon caffè distrugge ogni male - disse e gli pose una tazza e vi ci versò il caffè, prima di andarsene.
Justin rimase, come spesso accadeva, allibito. Da almeno tre anni frequentava quel piccolo locale e non aveva ancora preso un THè ma solo caffè di pessima qualità. Oltre al fmo di tabacco straniero, nell'aria si respirava essenze orientali, tinte di caffè, la polvere dei piumini delle poltrone e il legno dell'arredamento. Gli avventori al locale erano pochi e puntuali. Di domenica si poteva rischiare di incontrarvi quindici o sedici persone al massimo. MA oggi era un mercoledì d'estate. Justin sedeva da solo, in fondo.
La signora Ping-Jo-Soon comparve di nuovo con un ragazzino, suo nipote.
- Dì ciao al signore gentile - il ragazzino fece un cenno con il capo - Io non pacpire perchè pagare scuola e tu continuare a muovere muscoli invece di cervello. Signore, tu vuoi altra tazza di caffè?
Justin non disse nulla, perchè la signora glielo versò lo stesso.
Quando se ne andò, Justin prese a conversare con il ragazzo.
- Ma è sempre così tua zia?
- Non cambierà mai.
- Meglio così allora.
- Perchè?
- I vecchi tiranni sono meglio dei nuovi tiranni. Se tua zia cambiasse, potrebbe divenire più cattiva.
Il ragazzino alzò le spalle.
- Tu non cambierai mai.
- Come tua zia?
- Mia zia è severa, ma a caa è diversa. Tu sembri un pezzo di legno tutto di un pezzo.
- Credi che sia un male?
- Tu sei felice con la vita che fai?
- Non credo, no. Con la vita che conduco non mi serve sapere se sono felice o no. Mi basta vivere e respirare. Ogni respiro che faccio è già un miracolo. Non posso chiedere di più.
Il ragazzino annuì.
- Che csoa hai da fare? Matematica?
- Storia
- E perchè non puoi farla da solo? Posso aiutarti con la matematica, ma con la storia...
- Mia zia non mi permette di studiare da solo...e poi mi piace guardare i passanti.
- Ti capisco. La storia è come un grandissimo numero di persone che sfilano davanti ad un vetro.
- Davvero?
- Sì. Che periodo stai studiando?
- La storia cinese del Sedicesimo secolo.
Justin sfogliò il libro che il ragazzo aveva tra le mani e ne lesse vari nomi e iniziò a denominare i passanti, fuori dalla finestra, con i titoli e cognomi del libro. Il ragazzino all'iniziò ridacchiava imbarazzato, ma poi iniziò a capire il meccanismo di quelle apparentemente assurde spiegazioni. Gli stava inconsciamente dimostrando come la storia, in fondo, è sempre attuale.
- E tu chi sei? - gli chiese di improvviso- Un imperatore? Un capitano?
- Io? Non lo so. La storia attuale è sempre ignorata dai suoi protagonisti. Io sono io e tu sei tu. Quando saremo morti, i nostri discendenti ci diranno chi siamo.
- Ma io non avrò discendenti.
- E perchè no?
- Perchè io ho paura delle femmine. Come facciò ad avere dei figli se ho paura delle femmine?
Justin rise di tutto cuore e trascorse il suo tempo al Tea Room fino all'ora di cena.
Allora apparve la signora Ping-Jo-Soon con due piatti di spaghetti cinesi e rimase con lei e il nipote anche per cena - a mangiare, a parlare di ricordi e di storia, fino all'orario di chiusura.
STAI LEGGENDO
DEATH HEART STONE
General FictionI racconti-magazzino delle mie incontinenze creative. "A metaphor of all the untranslatable obviousness" (James Clark)