STORIA DI C.Z.

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È il 1325 a.C.
Siamo in Egitto, più precisamente nell' umile dimora del faraone Tutankhamon.
È una serata di luna piena e sua moglie, Cleopatra, ha appena dato luce alla figlia del faraone. C'è però qualcosa di strano in lei: i suoi lineamenti non sono diciamo, tipicamente egiziani, ha qualcosa, qualcosa di italiano.
Tutankhamon, che di certo non era uno stupido, inizia a sospettare qualcosa e dice alla moglie: "Senti Cleo, sei sicura che quel Giulio Cesare che viene spesso a casa nostra, sia davvero un idraulico?"
La moglie risponde con fermezza: "Il dado è tratto, è ora di cena, ne parliamo domani con calma".
Non ne parleranno mai.
Ma questa, questa è un'altra storia.
Cleopatra è in difficoltà, non ha idea di che fare della sua bambina e sa che se resterà in Egitto verrà uccisa.
Ogni giorno riflette su una soluzione e una volta portò la figlia con se alla tomba del nonno chiedendo aiuto per farla diventare giusto un po' mulatta.
Ci riuscì perfettamente: il nonno era un certo Cheope e la sua tomba poteva rendere scure con l'ombra proiettata milioni di persone. Era la piramide di Cheope.
L'effetto però, una volta abbastanza lontani, svaniva.
Cleopatra prova ancora.
Un giorno di sole cocente, giungono da occidente due sahrawi, allevatori di cammelli, portando come di consuetudine il giornale della zona: "Il Maghrebino".
La notizia che più colpisce Cleopatra è l'avviso dell' imminente passaggio di una nave enorme, bellissima, che può caricare più persone di quante non se ne siano mai viste, diretta a Lampedusa, esatto, proprio a Lampedusa. A dirigerla vi è un certo Noè, un uomo talentuoso come pochi, tanto da meritarsi i complimenti di una celebrità del calibro di Leonardo di Caprio, che dirà di lui: "Se il capitano del Titanic avesse avuto metà del suo talento, noi non saremmo affondati e io, io avrei vinto l'Oscar". Non lo vincerà mai, ma questa, questa è un'altra storia.
Cleopatra compra dei cammelli da corsa e dei dromedari da combattimento. Con fatica arriva sulle coste del Mediterraneo proprio al passaggio dell' Arca. Prima di deporre la bimba su di essa, deve darle un nome: la sua carnagione è rimasta chiara e Chiara sarà il suo nome, inciso sulla culla prima dell' imbarco.
La bambina con sguardo innocente e avulso di chi non sa cos'ha intorno, fissa gli occhi scuri della madre in lacrime, gemente, inginocchiata sulla sabbia che le scotta le ginocchia, appena rinfrescate dall'acqua che rotola su e giù per la banchigia.
Trafitta dal dolore cade inerte sulla spiaggia con gli occhi rivolti a suo nonno e alla sua anima che, esalando dal corpo, lo sta lentamente raggiungendo, come un palloncino lasciato libero di librarsi nel cielo, cosciente di esplodere in mille rumori quando non ci sarà però nessuno a vederlo soffrire, dopo che nessuno lo ha visto gioire.
È un'onda a prendere le redini del fato di Chiara, traendola con sé verso il mare ceruleizzante.
Noè portandola sulla maestosa nave, la mette al sicuro in un angolo della sua stanza. Dormì molto.
Si svegliò qualche giorno dopo ai gridi euforici degli uomini, compresi Abdullah e Fragubudar: "Terra! Terraa!"
Continuavano a ripeterlo; sono le prime parole imparate da Chiara.
Giunta a Lampedusa risale la penisola fino a Torino dove si laureerà. Diventerà insegnante di storia e quando insegna, quasi a ricordare le sue origini, i suoi ricordi, non dimentica mai di dire almeno una volta a lezione: "Detto proprio terra terra".
Ma questa, beh, questa è davvero un'altra storia.

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