M e m o r i e s

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"Maybe we built this house on memories."

~Panic! At the disco

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Fa freddo.
È l'unica cosa che Tom riesce a sentire, freddo.
Ma non è un freddo qualsiasi, non quello pungente che ti immobilizza e ti fa venire voglia di cioccolata calda e una coperta per scaldarti, ma quello umido. Quello che ti entra nelle ossa, te le appesantisce e fa si che le poche forze che ti sono rimaste in corpo scompaiano del tutto.

Il tipico freddo delle prigioni per i marchiati come lui.

Lo hanno catturato, di nuovo.
È stato un incosciente, di nuovo.
Scapperà da quella topaia, di nuovo.

Gli ultimi quattro anni sono stati questo per lui: fuggire, fare una cazzata, farsi catturare, alcune volte uccidere per non farsi catturare, evadere e riprendere a fare il nomade.

Questo ciclo di eventi, in questo preciso ordine, ininterrottamente.

Quattro anni.
-Sono già passati quattro anni.- Pensa, nel buio della sua minuscola cella. Rintanato in un angolo lercio con le ginocchia al petto e il cappuccio della felpa piena di strappi a coprirgli il volto.

Quattro anni da quando era scappato.
Quattro anni da quando li avevano presi.
La sua famiglia, i suoi genitori, i suoi fratelli. Scomparsi nel nulla.
Due anni passati alla loro ricerca, gli altri due a lasciarsi andare in balia del caso, lasciando che fosse il destino a decidere sul da farsi, ormai convinto che non li avrebbe mai più rivisti.
Aveva perso tutto tanto, non aveva niente che lo spingesse a vivere, a provare emozioni, a non essere insensibile e distaccato.
L'unico motivo per cui non si era ancora buttato sotto un treno o giù da un ponte era perché era un dannato egoista.
Un egoista che non ne voleva sapere di fare un piacere al mondo e uccidersi.
Perché sotto quel muro fatto di menefreghismo e freddezza sapeva che, per quanto lui non l'avrebbe mai ammesso, c'era ancora la speranza.
Per una vita migliore, senza dover andare da una parte all'altra del mondo non potendo fermarsi un attimo per respirare e trovare qualcosa che renda utile la sua corsa che sta continuando da troppo tempo.
Qualcosa che lo faccia sentire vivo, che gli mozzi il fiato e gli mandi in cortocircuito la sinapsi in ogni suo neurone.
Qualcosa che gli afferri la mano e non la molli mai, per portarlo via da quel buio in cui sembra affondare sempre di più.
Qualcosa come gli angeli di cui suo padre parlava tanto; raccontando delle loro leggende a lui e i suoi fratelli prima che andassero a letto, rassicurandoli che quando sarebbero diventati grandi loro li avrebbero protetti sempre donandogli una vita piena di felicità.

Eppure lui continuava ad essere lì, da solo, perché costruire una porta al muro che aveva erso intorno al suo cuore sarebbe significato che chiunque avrebbe varcato quella soglia prima o poi sarebbe morto.
E anche perché le storie che gli raccontava suo padre erano tutte puttanate, gli angeli non esistono.

Anche se, quando Tom aprì gli occhi quella mattina, disteso su delle lenzuola candide e vestito con degli indumenti che sapevano di casa, poteva giurare di aver sentito una lieve pressione sul palmo della mano destra.
Chissà, magari un angelo si era accorto di lui.

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ECCHECIPOSSOFARE?

Cortino, lo so.
Ma era per provare un nuovo stile e presentarvi decentemente il carattere di Tom.

E ammettetelo, è un gran figo.

Ah, e questo non è ancora il primo capitolo. u.u

Esatto, sono talmente stronza che ancora non ho iniziato a scrivere decentemente questa storia.
#SorryNotSorry

Now.
In bocca al lupo per aspettare il primo e vero capitolo. c:

~Kane :3

No angels √Spideypool AU™Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora