CAPITOLO 29

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Devo essere in paradiso. Due bellissimi angeli mi guardano preoccupati ma, d'un tratto, sorrisi mozzafiato si fanno strada tra i loro visi prima corrucciati.
"Ti ricordi chi sono io, Amy?"-mi chiede con una nota di agitazione nella voce, il ragazzo alla mia sinistra. Un groppo in gola non mi permette di parlare, quindi mi limito a scuotere la testa. Vorrei tanto ricordarmi di lui, anche se credo alquanto difficile scordarsi di un tipo simile. Lo sguardo triste che scaturisce dalla mia risposta, mi scombussola non poco.
"Di me ti ricordi Amy?" - mi domanda l'altro ragazzo che, solo ora, mi balza all'occhio essere praticamente uguale all'altro. Io conoscevo questo ragazzo? Provo a ricordare, ma niente, mi sembra di non averlo mai visto in tutta la mia vita.
Questo vuoto di memoria che, spero sia momentaneo, mi sta dando alla testa. Chiudo gli occhi per concentrarmi su me stessa e sulla persona che ero prima di finire qui. A proposito dove sono? Apro di scatto gli occhi e mi guardo le mani: sono piene di tagli, per fortuna non molto profondi. A una di esse ho attaccata una flebo. Il liquido che passa all'interno, mi brucia leggermente le vene, ma niente di insopportabile.

Le pareti, attorno a me, sono bianche con qualche quadro qua e là di pessimo gusto. Muovo la testa e un profondo dolore mi fa stringere i denti.
"Amy che hai? Stai bene?" - mi chiedono in coro i due. Devo essere alquanto stupidi per non capire che non sto affatto bene. Altrimenti cosa ci farei in un letto d'ospedale? Decido, quindi, di non rispondere nemmeno e continuare la perlustrazione della stanza. C'è un altro letto di fianco al mio, apparentemente vuoto. Sulla parete sinistra c'è una porta, probabilmente è quella del bagno.
I ragazzi che prima stavano camminando pensierosi nella stanza, si bloccano di colpo e con loro, anche le vibrazioni che emettevano i macchinari. Un altro capo giro mi colpisce, questa volta più forte di prima.

'Amyyy....' - fa una voce femminile nella mia testa. Io non dico niente, ma lei prosegue senza aspettarsi una risposta da me.
'Non farti abbindolare da questi due rammolliti. Non rinnegare mai te stessa, neanche quando sentirai delle strane sensazioni dentro di te. La tua anima è forte, devi tenerla al sicuro. Ascolta le mie parole Amy. Non farti sottomettere dalle emozioni. Sii sempre vigile'.
Quel richiamo che è sembrato provenire dalle tenebre, cessa dopo questa ultima raccomandazione.

Per giorni ho cercato di capire a cosa si riferisse quella voce. Perché mai dovrei rinnegare me stessa? Che emozioni potrei mai provare, tanto da abbandonarmi?
A volte penso che sia stata tutta un'illusione, ma poi immagini nitide di quel giorno ne risvegliano il ricordo e capisco che era accaduto veramente.
Due giorni fa, sono venute a trovarmi altre tre persone che hanno detto di essere membri della mia famiglia: mia madre, mio padre e mia sorella. Le palpitazioni che ho sentito dentro al petto, mi hanno confermato ciò che avevano detto. Il mio aspetto è stato un altro punto che mi ha fatto capire che avevo veramente legami con quelle persone: avevo gli stessi occhi di mio padre, il sorriso di mia madre e il colore di capelli era simile a quello di mia sorella. Con le loro parole mi hanno confortato, ripetendomi che tutto sarebbe andato per il meglio e che di lì a pochi giorni sarei tornata a casa. Ciò che volevo era altro. Avevo un disperato bisogno di ricordare la mia vita, ma purtroppo non veniva esaudito.

Quei due ragazzi che c'erano all'inizio, mano a mano che passavano i giorni, si facevano vedere sempre di meno. Non si erano mai presentati e si erano comportarti in modo strano per tutto il tempo. Si lanciavano continuamente occhiate omicida, anche se apparentemente sembravano fratelli gemelli. Se guardavo uno di loro, in particolare, quello con gli occhi chiari come rugiada, emozioni forti mi pervadevano. Ero sicura che nella mia vita, avevo trascorso del tempo con lui e che avessimo un legame speciale. Non sembrava, però, per lui lo stesso. In tutti i giorni che sono rimasta qui, posso contare sulle dita di una mano le volte in cui mi ha guardato negli occhi.
Durante la mia permanenza in ospedale, non ho mai aperto bocca. Avevo quasi paura di sentire la mia voce e di non riconoscerla come tale. Pensavo che con il tempo avrei iniziato ad incontrare nella mente stracci di ricordi, invece neanche uno aveva scavato un tunnel di luce nelle tenebre. La cosa positiva è che sto imparando a conoscere me stessa. Amo la mia famiglia e so che lo facevo anche prima del coma. Ero in sintonia profonda con loro e mi rallegravano la giornata solo con un abbraccio. Ero grata loro di avermi sostenuta in questa situazione difficile. Sentivo che qualcosa ancora mancava. Una parte di me era in una sorta di bolla e io non sapevo come farla scoppiare. Il mio intuito mi aveva suggerito che probabilmente gli unici che potevano darmi risposte soddisfacenti, erano quei due fighetti. Il problema è che non sapevo dove andarli a scovare.
I giorni passavano lentamente e io rimanevo chiusa in queste quattro mura, bloccata su questo letto. I dottori hanno deciso di tenermi sotto stretta osservazione per monitorare la mia commozione cerebrale, sebbene non sia grave. Ormai erano trascorsi trentaquattro giorni da avevo avuto l'incidente che mi aveva causato questo tormento, anche se non sapevo ancora niente al riguardo. Nell'ultima settimana avevo iniziato a spiaccicare qualche parola qua e là; la mia voce mi suonava familiare. Lo so che è una cosa strana da affermare, ma se vi trovaste nella mia stessa situazione capireste quanto sia vero ciò che dico.
Facevo domande soprattutto sulla mia vita di prima e non mi stupivano le storie che mi raccontavano: se mi fossi trovata in quelle situazioni, avrei agito allo stesso modo. Anche questo è ovvio, sono io che ho fatto quelle cose e le replicherei quasi tutte.

Ormai la situazione sta diventando insostenibile. La parte "mancante" stendeva un velo scuro sulla mia anima, che non mi lasciava vivere appieno.
Sta mattina sarebbe venuta mia madre a portarmi la colazione direttamente dalla pasticceria di famiglia e avevo intenzione di chiederle qualcosa riguardo a quei due.
"Mamma ho una domanda da farti"
"Dimmi tutto amore"- dice lei con il suo sorriso dolce.
"Quei ragazzi che stavano con me i primi giorni, chi sono?". Mia madre, come se si aspettasse quella domanda da tempo, risponde senza battere ciglio.
"Uno di loro non l'ho mai visto in vita mia, ma l'altro ho avuto il piacere di conoscerlo. Frequentava la tua stessa scuola e avevate iniziato a vedervi spesso negli ultimi tempi. Andavate d'accordo, a quanto mi raccontavi"
"Capito. Qual è il ragazzo tra i due e sai il suo nome?"
"È quello con gli occhi chiari e si chiama Mark"
Mark. Mark. Mi piace come suona il suo nome e anche questo non mi è nuovo. Adesso arriviamo al punto focale della conversazione.
"Sai anche dove abita?"
"No tesoro, mi spiace. Dovresti avere il suo numero di cellulare però, così potrai chiederlo direttamente a lui"
Perché non ci avevo pensato prima? Era la soluzione più semplice e diretta. A volte so essere proprio stupida.
Mark, ci vedremo presto. È una promessa.

Vi consiglio assolutamente di passare a leggere "Fight" di Elena1529. Non ve ne pentirete ❤️

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