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Fisso il soffitto.
Il mio sguardo è vuoto, spento, senza vita.
Come me.
Mi dicono che ultimamente manco della mia solita vitalità, che sono troppo scontrosa, che mi arrabbio troppo facilmente, che non sono più io.
È veramente così?
Non lo so.
Chiudo gli occhi.
Inspiro profondamente.
Fa male.
Incredibilmente male.
Mi sento reduce da una faticosissima scalata.
Il dolore non risparmia un singolo microscopico lembo di muscolo.
Ma sono anestetizzata dalla stanchezza.
Non sento nulla.
Solo un rimbombo martellante e persistente nelle orecchie.

Appoggio la mano sinistra sul petto.
Il mio cuore batte lentamente.
Uno.
Due.
Tre.
Mi dicono che batte piano per colpa mia, perché non voglio dargli forza. Potrebbe fermarsi da un momento all'altro.
Non è vero.
Non è colpa mia.

E di chi è la colpa, allora?

Mi chiedono.
Rispondo che 'colpa' è un brutta parola, perché ferisce, perché graffia i sentimenti.
Se incolpi gli altri, fai del male a loro.
Se incolpi te stesso, sei tu a sanguinare.
Io non attribuisco a nessuno la causa del mio dolore.
C'è, e basta.
Non deve avere per forza un motivo d'esistere.
Dare la colpa a qualcuno è una grande responsabilità; tante volte mi sono caricata di colpe che non mi appartenevano, punendomi, ferendomi, perdendo sangue, fino a svuotarmi.

A volte gli urlo 'smettila, fermati, non battere più', eppure i lunghissimi intervalli tra un battito e l'altro mi spaventano.
Al cuore non comandi.

Stupida, hai sempre paura.

La mano scivola sulle clavicole sporgenti.
Tanto, troppo sporgenti.
Una volta le ho amate.
Ora fanno solo male.
A me, a lui, alle persone che mi amano, agli sconosciuti.

È questo che vuoi?

Sì, no, non lo so.

Svegliati stupida.
Non è vero che sei difettosa.
Non è vero che hai bisogno di qualcuno che si prenda cura di te per salvarti.
Puoi farcela.
Sì, anche da sola.
Incassa e rialzati.
Non cedere, anche se sputi sangue.
La vita è anche questo.
Non è vero che sei sbagliata.
Sorridi al demonio, mostragli che sei più forte e cattiva di lui.

No. Non è questo che voglio.

Sono rotta, sono da buttare.
Non so chi sono, cosa sono, perché sono.
Sono tante etichette che non mi definiscono per niente.

Cosa ti spaventa?

Non lo so.
Ripeto spesso questa frase, e mi rendo conto di non conoscermi affatto.

Perché ti comporti così?

Non lo so.
È spontaneo.
Mi abbandono e lascio che il vuoto prenda il sopravvento.
Io sono il nulla.
L'unica cosa che devo controllare è l'istinto di sopravvivenza, devo ucciderlo.
- Mangia.
Odio le imposizioni.
Non mangiare.

Non mangiare quella mela, posa subito quella forchetta, non dirmi che hai intenzione di ingoiare quel biscotto al cioccolato, hai idea di quanto calorie sarebbero? Troppe, così tante che non le sopporteresti. Così tante che ti si formerebbero le bolle di grasso sotto la pelle. Così tante che ti gonfieresti e finiresti per esplodere.
Non ne hai bisogno.

Sì, è quello che voglio.

Pensa alle persone che ti vogliono bene, dicono. Pensa a quanto le stai facendo soffrire.
Perché?
Forse dovrei pensare a me e al mio benessere, prima. Lo dicono la psicologa, la nutrizionista, gli infermieri, tutti.

Ma tanto non penso.

Le ossa dei polsi sono incredibilmente pronunciate, così come quelle del bacino, le scapole, le clavicole, gli zigomi; le guance sono scavate come quelle di una vecchietta di novant'anni. Mi fanno impressione. Mi disgustano.
Vorrei fermarmi perché quello che vedo allo specchio mi fa paura, sono troppo spigolosa.
Eppure il numero sempre più basso sulla bilancia mi spinge a continuare, a rifiutare il cibo, la vita, l'amore.
A rifiutarmi.
Sbaglio?
Tutti dicono di sì. Lo penso anche io, ma non lo dico.
È vero.
Non sono più io.
Sono la mia malattia.

acqua e ghiaccio // la mia storiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora