VI. A volte la salvezza richiede dolore

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-Come si sente, Nora?-
Mi muovo convulsa, strattonando le braccia per liberarmi dalle cinghie. Invano. Strette, sono troppo strette. Nyman scosta la mano, accavallandola sull'altra in grembo.
Sollevo lo sguardo verso di lui, con i capelli che mi pendono sulle ciglia. Sorrido stanca.
-Mi avete preso alla fine.- commento. -Avete messo su un bel teatrino, eh dottore? Avevate capito tutto.-
Nyman si leva gli occhiali, si massaggia le palpebre sospirando e li inforca di nuovo, fissandomi da dietro il vetro spesso.
-Nora.- mi chiama.
-Io uscirò da qui, dottore. Non avrebbe dovuto sfidarmi così.-
-Nora, ascoltami.-
Mi scuoto ancora. Dio, quanto sono strette le cinghie!
-Come sta sua moglie? E la piccola Sammy? Sa che arriverò a loro, vero dottore? Non ha paura? Non le importa nulla?-
-Nora!- mi interrompe perentorio. Io taccio di colpo. -Nora, tu non uscirai da qui.-
Rido isterica. -Non sa quello che dice.-
-Nora, tu sei qui da 36 mesi. E non uscirai. Non adesso almeno.-
Ho smesso di ridere, ma sorrido ancora, tra l'incredulità e la confusione.
-Akesson è morto?-
-Nora, sai dove siamo?-
-Aron Akesson è morto?- insisto.
Nyman prende un lungo respiro prima di rispondere.
-Nora, questa è una clinica psichiatrica. Sei ricoverata qui da tre anni. Soffri di psicosi, di schizofrenia, per esattezza.-
Allora è così che vogliono vendicarsi di me? Lasciarmi credere di essere pazza. Perseverando nella loro messinscena? Ma io sono più furba, più furba di tutti loro.
-Aron Akesson è morto, dottore?- urlo -Risponda!-
-Il detective Akesson non è mai esistito, Nora.- La sua voce si impone prepotente sulla mia. E' categorica, decisa. -Ne' lui, nè gli altri. Nè lui, nè Elias, nè le persone che hai ucciso. Io sono l'unica persona vera che hai inserito nella tua fantasia, nelle tue allucinazioni, perchè sono l'unica con cui parli giorno e notte, l'unica che conosci da quando sei qui.-
Aspetta che dica qualcosa. Aspetta che resti sconvolta. Sollevo un angolo della bocca in un mezzo sorriso, che sfiancata come sono, risulta essere più una smorfia.
-Non ci riuscirete! Io sono un abile sicario, dottore. Ho studiato per diventarlo. So riconoscere una bugia, so riconoscere un inganno, so uscirne viva e salva.-
-Cristo santo, Nora!- soffia Nyman.
-Lei può portare avanti questa sceneggiata, ma queste?- muovo le braccia per indicargli le fasciature. -Queste mi dicono che lei sta mentendo, dottore!-
Nyman si alza, falca a grandi passi la stanza. Vi ho smascherati prima di vincere. Io ho vinto. Io vinco sempre. Sono nata per non perdere mai. Lui si schiarisce la voce, grattandosi la testa rasata.
-Quelle te le sei fatte da sola in un delirio psicotico, Nora. Hai cercato di strapparti le bende per ferirti di nuovo, una volta che ti avevamo fasciato. E ora, ora sei legata, perchè mentre ti portavano da me hai sfilato la pistola dalla custodia di una guardia e hai provato a farti saltare la testa. Non sei mai stata un sicario, Nora.-
Adesso sono seria, adesso non sorrido più, non sono spaventata, solo che non capisco cosa stia dicendo Nyman, cosa stia accadendo. Mi dico di restare lucida, me lo ordino. E' tutto un imbroglio, Nora. Vogliono manipolarti, farti impazzire.
-Aron Akesson non è mai esistito. Aron, è questo il nome del detective a cui tu hai dato vita. Aron è Nora al contrario. Aron sei tu Nora.-
Scuoto la testa in segno di diniego. La scuoto veloce, frenetica. So che è un'assurdità, so che è una grandissima bugia, eppure qualcosa si sta facendo strada dentro di me, un ricordo, due, tre. Io che cammino nei corridoi bianchi, asettici. Io che parlo con il dottore, una, due, tre, dieci volte. Io che prendo le medicine. Io che sono stanca.
-Lei mente!-
-Tu non sei riuscita a superare l'abuso di tuo padre. Così la tua mente ha creato un mondo in cui tu potessi vendicarti, senza esserne colpevole. Ti sei vestita dei panni di un sicario che uccide per soldi, per avere una giustificazione. Ma sapevi quanto fosse sbagliato tutto ciò, e così mentre una parte di te cercava vendetta, l'altra aveva il compito di fermarti. L'altra parte che tu hai chiamato Aron.-
-Vaffanculo. Lei mente!-
Io che parlo con una paziente. Io che vado in isolamento. Io che non voglio mangiare, loro che mi costringono che altrimenti muoio di fame.
-Ogni persona che nella tua fantasia hai ucciso, era una parte di te. Tu volevi uccidere le tue coscienze, Nora. Una ad una.-
Io che sto sulla brandina. Un'iniezione la mattina, un'altra la sera.
-Ma sapevi che il dolore era così forte, tanto quanto l'istinto di sopravvivenza e alla fine Nora ha preso Aron, pronta a farsi giustizia da sola.-
No, no, no. Non può essere così.
Io che pranzo nella sala comune. Io che guardo fuori dalla finestra. Io che voglio uscire da qua. E la paziente che mi chiede: "Tu che cos'hai? Io sono bipolare."
-Una volta uccise le coscienze che abitavano la tua mente, toccava a te. Eri rimasta solo tu. Dovevi eliminare quello che restava della tua vita. Anche io ero una tua coscienza. L'unico stralcio che poteva ricondurti alla lucidità, fuori dal tuo delirio. Ma hai messo a tacere anche me, sacrificandomi.-
Io che guardo la paziente: "Sai cos'è la schizofrenia?"; lei che mi chiede di rimando: "E' una brutta cosa?"
-Le altre persone che hai creato sono volti che hai visto una volta ogni tanto, magari di sfuggita, ma che il tuo cervello ha assorbito come una spugna, li ha bevuti ingordo e tu ci hai vestito sopra un'identità nuova. Akesson, Elias, i poliziotti, Desiree Holmgren, Jensen, Madeline. Tu eri tutte queste persone, con facce esistenti ma che nella realtà si chiamano in un altro modo.-
Io che rispondo: "Non lo so. Forse.", lei che mi chiede: "Da quanto tempo sei qui?", "Dicono quattordici mesi, ma io non ricordo. E tu?", "Io da quattro anni".
-Nora!-
La voce di Nyman mi arriva lontano. Mentre parla, io lo ascolto, ma vedo altro. In ogni parola che infila una dietro l'altra, mi ritrovo ad affondare negli stralci di ricordi lucidi che a fatica si fanno spazio in quella che io reputo realtà, ma non lo è.
-Nora!- ripete ancora Nyman, cercando di carpire la mia attenzione, di attrarre i miei occhi sulla sua figura, i miei occhi che nel frattempo fissano il vuoto, senza vedere nulla.
Le mie pupille lo mettono a fuoco, la sua voce diventa presente.
-Nora! Capisci quello che dico?-
Io che chiedo: "Quando usciremo?", lei che mi risponde: "Quando staremo bene!", "Staremo mai bene?", lei che mi sorride, lei che mi prende una mano, lei che mi guarda con lo sguardo ferito, ma con la voglia di salvarsi: "Dobbiamo iniziare a farlo. Noi dobbiamo stare bene."
Annuisco, mentre la figura della paziente dei miei ricordi, a cui non ho mai chiesto il nome, scompare e si delinea quella di Nyman, che diventa sempre più marcata.
Annuisco, mentre gli occhi si annacquano silenti.
Annuisco, mentre il corpo vibra sotto lo shock della verità.
Annuisco, con il sangue che pulsa feroce, sbattendo contro le pareti delle tempie.
La testa mi scoppia.
Le cinghie sono strette, troppo strette.
-E' necessario ricominciare tutto daccapo, Nora. Hai tentato il suicidio, sei pericolosa per te stessa e gli altri. Da oggi, bisogna cambiare terapia.-
Io non obietto.
Noi dobbiamo stare bene.
Io devo stare bene.
La mia domanda sale lentamente alle labbra, con terrore, come se non volesse, come se non avesse il coraggio. Io non ho il coraggio. Ogni notte mio padre se ne portava un pezzo via, e mi lasciava addosso solo la resa e la stanchezza. La voglia di farla finita. Ora il coraggio non c'è più. La mia domanda sale lentamente alle labbra, spinta dalla resa e dalla stanchezza, nient'altro la muove.
-Cosa? Cosa mi farete?-
Nyman incurva le sopracciglia in un'espressione dispiaciuta. Ma quello è il suo lavoro, dico.
Io starò bene.
Io devo stare bene.
La sua risposta non mi spiazza neanche, forse già lo sapevo. Forse l'ho sempre saputo.
Elettroshock, dice e le mie ciglia si bagnano, ma io non posso asciugarle, perchè sono bloccata.
Le cinghie sono strette. Troppo strette.
Nyman le asciuga al posto mio, sorridendo affranto.
-Poi finirà?- un viluppo mi soffoca dal petto alla gola.
Lui giura. -Poi finirà. Te lo prometto.-
Un infermiere entra in stanza, per cambiarmi la flebo. Alzo gli occhi torbidi verso di lui, mentre armeggia con i tubi, le sacche e gli aghi. Lo osservo.
Elias.
Allora è da questo infermiere che ho preso il volto per una delle mie coscienze?
Provo a capire da chi ho preso in prestito il volto per addossarlo ad Akesson, ma il mio cervello è intorpidito.
L'infermiere se ne va, lasciandoci di nuovo soli.
A volte la salvezza richiede il dolore. A volte bisogna farsi del male per ritrovarsi, per mettere insieme i pezzi che mancano, come schegge di vetro che tagliano la carne indifesa. Bisogna rischiare di annegare, per imparare a restare a galla. A volte bisogna spezzarsi, prima di saper stare dritti, lesionarsi prima di diventare abili nel cucirsi le ferite.
Nyman mi stringe le dita, con affetto paterno.
Ed è allora che il coraggio ritorna, perchè è l'unica cosa che mi resta. Perchè ho perso tutto. Perchè stavo perdendo anche me stessa. E me stessa è l'unica cosa che ho.
Ed è allora che la mia domanda diventa affermazione, convinzione.
Stringo le palpebre, mentre lo dico. A me stessa. Mentre lo dico a Nora.
E' allora che la mia domanda diventa promessa.
-Poi finirà!-

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 28, 2016 ⏰

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