I. La ragazza correva ed era sporca di sangue

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Negli ultimi mesi, anche in paesi idilliaci come la Svezia, ascoltare un notizia di omicidio è diventata un'abitudine, spiacevole, terribile, ma pur sempre un'abitudine. Come prepararsi il caffè a prima mattina o allacciarsi le scarpe. Ci si alza con i migliori propositi, e mentre le uova bollono, si accende la TV nell'attesa della cottura. E nello stesso istante in cui si sente il tipico click dell'accensione, uno si prepara ad ascoltare, tra i primi cinque canali che cambia, la notizia di una prostituta morta strangolata o di un politico con un proiettile nel cervello o di un barbone andato a fuoco, e non per sbaglio.
Così, quando mi chiamano nel cuore della notte per dirmi che c'era stato un omicidio in un'abitazione poco distante da casa, mi vesto con i panni che avevo lasciato sulla sedia quasi come se sapessi. Perchè lo sapevo.
Arrivo che sono le quattro del mattino. L'aspetto positivo dell'essere svegliato dal lavoro a quest'ora è che non resto intrappolato nel traffico.
Scendo dall'auto sbattendo la porta frenetico, con la neve che mi mangia gli stivali e il freddo che mi punge affamato la pelle scoperta.​
Non faccio neanche in tempo ad arrivare all'entrata della casa che Elias viene verso di me e mi affianca senza fermarmi.
-Allora? Chi è il morto che mi ha buttato giù dal letto?- chiedo mentre mi faccio spazio tra la Scientifica e il nastro adesivo.
-Donna. Venticinque anni. Si chiamava Desiree Holmgren. Deceduta più o meno tra le 22:00 e le 24:00-
Due ragazzi si scostano rispettosi della mia autorità e io analizzo la donna seduta al tavolo della cucina, con la schiena appoggiata e il capo reclinato completamente all'indietro, con una sottile linea rossa sulla gola. Mi infilo i guanti, come da prassi e toccandole leggermente il mento, le sposto di un quarto il capo. Elias si inclina per osservare meglio. -Giuro di non aver mai visto un taglio così preciso e pulito. Quasi come se...-
-...avessero usato un bisturi.- concludo io.
Mi prendo qualche secondo per pensare. Non c'è sangue. Da nessuna parte. La pelle liscia e candida della vittima non è stata sfregiata. Se non fosse stato per una chiamata fatta casualmente o per qualsiasi altro accidente, solo l'odore di morte poteva attirare qualcuno qua dentro.
-Porca puttana!- sbotto in un attimo di improvvisa illuminazione.
-Che c'è capo?-
-Aprile la camicetta!-
-Cosa?-
-Elias non restare impalato, fa come ti ho detto, muoviti.-
Ed Elias obbedisce, senza capire, e quello che vedo avrei preferito evitarlo.
Una piccola ustione bacia la carne della ragazza tra i due seni. La bacia avida, ardente, proprio sopra il cuore. Come marchio.
-Cazzo!-
-Cosa, Akesson?-
-E' lui! Spegne sempre una sigaretta in quel preciso, esatto punto. E' la sua firma. Ed ha un'abilità innata nel non lasciare tracce di sè. Non troverete nemmeno un'impronta qua dentro. E' tempo sprecato.-
-Chi uccide? Donne di vent'anni, belle e prosperose, dai capelli scuri?-
Mi gratto la testa, mentre la scuoto con fare di diniego. Era l'assoluta e assurda accuratezza che mi sfiniva i nervi. Sempre. Che mi tartassava il cervello alla ricerca di un indizio concreto. Inutilmente. E' una caccia che va avanti da troppo tempo ormai. Lui conosce noi e noi, invece, camminiamo alla cieca.
-Non c'è collegamento tra le vittime. Questo è il problema. Una giovane donna, un vecchio imprenditore, un padre disoccupato e altre vittime completamente diverse. Abbiamo fatto tutti gli incroci possibili, abbiamo visto le date di nascita, i posti dove sono stati, dove hanno mangiato, dove hanno bevuto, abbiamo sviscerato le loro famiglie, niente. Non c'è un bel niente. E Desiree Holmgren è l'ennesima prova. Non uccide vittime scelte da lui. Lui decide solo come farlo.-
Elias mi fissa stranito, non capisce, ma io capisco lui, capisco la sua confusione, non si è mai trovato a contatto con un caso del genere. Così glielo spiego.
-Il bastardo chirurgo è un sicario.-​

Avrei preferito che mi guardasse mentre pendeva dal soffitto, che guardasse i miei occhi lucidi di soddisfazione e orgoglio. E invece avevo dovuto iniettargli una bella dose di aria nelle vene, gli avevo provocato un embolo forse grande quanto una noce, poi gli avevo legato la corda attorno al collo, gliel'avevo stretta ben bene fino a lasciargli i segni. Avevo acceso una sigaretta come da rituale e l'avevo spenta sul petto, nel punto che prediligevo più di tutti. Era il modo che avevo per distinguermi dagli altri. Io sono una bruciatura da sigaretta. Sono un sigaretta spenta sul cuore dei morti.
Infine l'avevo gettato giù dal soppalco, osservando sotto ipnosi la corda tesa al punto da spezzarsi, ma senza spezzarsi.
Avrei preferito che spiasse il mio sorriso mentre se ne andava, mentre con gli occhi mi supplicava di tirarlo giù. Ma questo gioco mi diverte troppo.
Adoro in modo spasmodico i loro tentativi di trovare la falla, un mio possibile errore, dettati dalla paura, dalla distrazione di un attimo. E' un inseguimento del gatto al topo. Rido riflettendo sulla loro ingenuità. Non sanno che il gatto sono io.
Mi verso un po' di vodka nel bicchiere, senza smettere di fissare la sagoma che oscilla e dondola come un pendolo. Tic, toc, tic, toc. Tic. Toc.
Lascio che il liquido scivoli giù, che urti contro le pareti della gola come toccasana catartico. Mi pulisco le labbra con il dorso della mano e mi avvio verso la porta. Troveranno il corpo tra qualche ora, l'assassinio del proprietario dei terreni di mezza Svezia non passa inosservato.
I piedi penzolanti mi ostacolano. Così li scosto come una tenda e me ne vado senza voltarmi. Lo scricchiolio della corda che tende è l'unico rumore che resta.

Il misto di sudore e sangue mi offusca la vista, a stento cammino, a stento riesco a non inciampare. Tremo tutta. I battiti accelerano. Mi lacereranno il miocardio, si stenderà fino allo spasimo e poi crollerà. La sigaretta brucia ancora sulla pelle, ma non me ne curo. L'importante è andare via. La spalla è dolorante, ma non mi curo neanche di quella. Un uomo mi ferma. Mi prende le spalle, le stringe, mi obbliga a guardarlo.
-Signorina, lei sta sanguinando. La porto in ospedale.-
Faccio di no con la testa.
-Devo andare, devo andare, devo andare.- Non articolo altro. Devo andare.
Libero il braccio dalla mano ferma dello sconosciuto, che pieno di sangue è troppo scivoloso da trattenere.
E scappo via a piedi nudi.
Lasciando sull'asfalto orme rosse.

-L'hanno trovata in stato confusionale, in biancheria intima. Piena di sangue. Dalla testa ai piedi, dottor Nyman.-
Dall'altra parte del vetro scuro indico la ragazza, seduta, che si tortura le mani, guarda lì e basta. Non ha alzato gli occhi da quando l'abbiamo portata qui.
-A quanto pare è riuscita a fuggire prima che il sicario la uccidesse. Lei è stata fortunata. La sua amica no. E' stata fatta a pezzi. Questa volta il sicario non ha evitato di sporcarsi le mani. Sono tre omicidi in poco più di una settimana. Sta incalzando. E non si fermerà. La terremo sotto custodia fin quando non avremmo preso quel figlio di puttana. Prima o poi dovrà sbagliare. Lei era la prossima. Il sicario è riuscito solo a ferirla alla spalla destra con un'arma da taglio e le ha ustionato il petto. Forse riusciamo ad arrivare a capo di qualcosa.-
Prima di parlare Nyman si prende una pausa lunga due respiri profondi.
-Cosa vuole che faccia, Akesson?-
Gli getto addosso due pupille dalla punta acuminata. Come per dire: "Faccia presto, si muova, e non sbagli, che il bastardo non sbaglia mai."
Fisso di nuovo la ragazza. Dice di chiamarsi Nora. Ha ancora i capelli bagnati e la pelle umida, per lavarsi da tutto il sangue in cui annaspava. Non ha voluto farsi toccare. Ci abbiamo messo mezz'ora per convincerla. Aveva paura. E se ora alzasse il volto verso di noi, scorgeremmo ancora paura negli occhi acquosi. La paura galleggia bene nelle lacrime.
-Che estirpi da lei tutte le informazioni possibili. ​Verrà a riprendersela. Domani potrebbe essere già morta.-

Il sicario svedeseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora