IV. Decido io quando è finita

54 5 1
                                    

Ho il piede sull'acceleratore, lo schiaccio incazzato nero. Bestemmio, impreco.
Il bastardo non può farla franca, non ancora.
Non può essere ovunque, in qualsiasi momento e non farsi mai prendere. Non può sgozzare la gente e avere le mani pulite. Non può uccidere davanti i nostri occhi e non farsi vedere. Non può. Non è umano.
Quando arrivo ci sono tre blocchi della polizia, che puntano verso la casa. Riconosco Elias e mi avvicino.
-E' dentro!- dice soltanto.
In circostanze come queste i saluti non contano, i saluti non servono.
-Sicuri?- Perchè il sicario fa questo: gioca sulla nostra ansia, sulla nostra preoccupazione, si diverte a guardare come corriamo avanti e indietro senza raggiungere un briciolo di nulla.
-Ci ha salutato da dietro la finestra.-
Lo fisso, ma lui non fissa me. Lui non fissa me perchè non distoglie gli occhi da questa maledettissima casa. -L'avete visto in faccia?-
-No, purtroppo. E' troppo buio.-
-Perchè non avete sparato?-
-Perchè avremmo colpito la vittima o l'avrebbe colpita lui. Le punta una pistola alla testa.-
Seguo lo sguardo di Elias e mi soffermo sull'unica finestra illuminata, quella al piano di sotto, che probabilmente affaccia sul salone. Una figura se ne sta accasciata sulla sedia, con il capo chino, mentre l'altra ha le braccia tese verso il suo cervello. Lui è lì, a pochi passi da noi. Mi dico che no, non può uccidere davanti i nostri occhi e non farsi vedere. Non può. Non è umano. Poi, però, mi correggo. Perchè è proprio questo che sta facendo. Uccide davanti i nostri occhi senza mostrarsi. Lui lo fa. Lo fa, perchè non è umano. Ha la canna dritto alla tempia della vittima che se ne sta senza muoversi, con le braccia legate. L'avrà picchiata, torturata, seviziata, il tutto solo per offrirci un macabro spettacolo che mai avremo dimenticato. Il sicario solleva la testa, torna a guardarci dalla sua ombra, alza una mano e saluta cortese. Se non fosse buio, riuscirei a vedere il sorriso stampato sulle labbra, come a dire: "Vi fotto pure stavolta."
Poi la luce si spegne. La casa ripiomba nell'oscurità. Non c'è un solo faro, una sola lanterna, un lampione. Nulla. E mentre ragiono ho il corpo ricoperto da decine di occhi che aspettano che io dica qualcosa, che prenda una decisione. Avrebbe sparato. Gli avrebbe fatto saltare le cervella e sarebbe scappato. E' l'unica cosa che riesco a pensare. Aspetto la conflagrazione, il suono familiare della canna che esplode, immagino la polvere, il sangue, il cranio maciullato. Aspetto.
-Che facciamo Akesson?- domanda qualcuno.
Ma io non rispondo. Aspetto.
-Akesson?-
Aspetto.
Aspetto, ma non sento nulla, nessuna conflagrazione, nessun suono familiare. Che cosa sta facendo? Gli basta una mossa, la pressione dell'indice sul grilletto. La vittima è lì, legata, inerme, come un corpo morto.
Sbarro gli occhi, sfilo la pistola dalla custodia. In un'improvvisa illuminazione.
-Avete visto la vittima muoversi?-
Elias scuote il capo, ma non capisce. Cazzo, cazzo, cazzo!
Inizio a correre verso l'entrata di ingresso.
-Akesson!- qualcuno grida. Io non mi volto neanche, rispondo solo urlando. E le mie urla dicono: -E' tutta una fregatura. Era già morta, prima del nostro arrivo, la vittima era già morta.-
Ecco cos'era! Un corpo morto, un corpo morto e basta. Era tutta una sceneggiata. Un modo per prendere tempo. Lui aveva già fatto il suo lavoro, forse da molto prima che lo sapessimo.
E, come se con quella spiegazione inaspettata avessi dato il via all'azione, decine di piedi mi seguono impazziti.
Mancano venti passi o poco più, poi, all'improvviso, in un attimo della durata di un respiro, a destra del mio campo visivo appare un'ombra. Non me ne accorgo nemmeno che la pistola esplode il colpo. Uno, due, tre, e ancora e ancora e ancora. Fin quando il corpo cade.

Sono il primo ad arrivare dal cadavere. E' a faccia ingiù, nella mano sinistra stringe la rivoltella. Non distolgo lo sguardo dalla sua schiena. Dalle sue spalle così familiari. Dalla nuca e i capelli corti. Analizzo quel corpo dal volto nascosto che conoscevo senza conoscerlo davvero. Ed è Elias a piegarsi sui polpacci e a voltarlo su un fianco. Lo avevo trafitto con quattro pallottole, credevo fossero di meno. Ero così preoccupato di prenderlo che l'ho ritenuto una macchina, una macchina che andava fermata.
Gli occhi di Nyman sono spalancati, vuoti, silenti, mentre il sangue gli mangia il ventre vorace e scivola fuori da lui. Un poliziotto gli sfila la rivoltella dalle dita e la custodisce tra le prove dell'omicidio.
Elias, ancora chino accanto il cadavere, solleva il capo verso di me. Apre le labbra, sta per dire qualcosa, ma la suoneria di un cellulare lo zittisce. Ci metto un po' a capire che è il mio. Non sono scioccato, nè spaventato. Forse sapevo, in fondo, forse sospettavo. Ma quando ci si trova di fronte la verità le cose cambiano. Noi cambiamo. Non possiamo più negare, non esistono più sfumature, o illusioni, o altre ancore di salvezza. Ci si sente perduti, perchè non possiamo più sperare, in nessun modo, con nessun mezzo. E' questo quello che succede. Succede che la verità, a volte, arriva ad ammazzare la speranza.
Sfilo il cellulare dalla tasca del cappotto, con il gelo che mi punge le guance, e lo apro con uno scatto secco. La voce dall'altra parte suona gracchiante.
Io annuisco senza dire nulla, e quando richiudo dopo neanche un minuto, esco dal mio stato catatonico e punto Elias.
-Hanno trovato del sangue sul taglierino di Nyman. Nella sua giacca. Il sangue risulta essere quello di Nora. E' l'arma usata per tagliarle i polsi e le mani e scrivere sul muro- dico e lui si solleva.
-C'era qualcosa che non andava, Akesson. Ma non potevamo immaginare che Nyman fosse il sicario.-
Analizzo il corpo, che ora se ne sta rigido in mezzo alla neve, alla neve che è diventata rossa.
-Uccideva davanti a noi. E noi non ce ne rendevamo conto.-

-La vittima è un uomo sulla sessantina, venuto qui dalla Russia. Non ha dato fastidio a nessuno, da quando ha smesso di bere. Si è trasferito qui per cambiare vita, dopo la morte della moglie. La seconda. Faceva una vita modesta. I vicini dicono che era un tipo tranquillo.- riporto le informazioni ricevute, senza accennare al fatto che il sicario fosse un interno, che noi, con il sicario, ci parlavamo ogni giorno, che noi, del sicario, ci fidavamo, che noi, ci abbiamo dormito con il sicario, ci abbiamo lavorato e mangiato e bevuto con il sicario, mentre ci ingozzava con la sua falsa lealtà, con la sua faccia bella e pulita da brava persona. Ma Elias no, Elias vuole giustificarsi, e giustificare tutti noi e così fa il punto della situazione.
-Nyman è arrivato qua qualche mese fa, era nuovo in fin dei conti.-
-Non avremmo dovuto fidarci.- lo interrompo.
-Non potevamo saperlo, Akesson. Non si può sapere sempre tutto.-
Non rispondo, perchè qualsiasi cosa dirò non cambierà la situazione, non riporterà in vita nessuna delle persone uccise.
-Aveva accesso alle medicine- continua Elias -questo gli ha permesso di drogare Nora, ferirla e nascondere l'arma. Lui era già lì quando siamo arrivati noi, quella notte. Ha parlato con lei da solo. L'abbiamo data in pasto al lupo, senza saperlo. Era un medico, aveva le conoscenze adatte per uccidere con violenza o con perfezione e pulizia. Conosceva i nostri spostamenti, e conosceva soprattutto quelli di Nora. E non ci dava mai informazioni di alcun tipo. Quando sei intervenuto tu, Akesson, lei ha incominciato a rompersi, a darti particolari sul sicario che Nyman non riusciva a estrapolarle. Non ti sembra strano? E consegnare il pacco qui è stato un gioco da ragazzi, semplice, veloce, tanto sapeva che lo avresti aperto una volta a casa. Nyman ha avuto tutti i modi, tutti il tempo e i mezzi per fare quello che ha fatto. Non avremmo mai sospettato di lui e lui ne era consapevole, perfettamente.-
Ho il cervello atrofizzato, non riesco a pensare a nulla se non al volto di Nyman nella neve, come un angelo della morte caduto. E poi morto.
-Non ha ucciso subito Nora, perchè adorava divertirsi con noi che l'avevamo sotto il naso e non ci accorgevamo di nulla. Mentre le faceva male e noi glielo permettevamo.- Prendo un respiro profondo, che fa a fatica ad entrare nei polmoni, che trovo così stretti, secchi, poco capienti. -Lei come sta?-
-Ora meglio. Le abbiamo detto tutto.-
-Come ha reagito?-
-Era terrorizzata, ma sollevata. Ha detto di non aver mai chiesto a Nyman di parlare sola con lui. Che quando lui gliel'ha proposto, lei non capiva, ma accettava, perchè voleva solo salvarsi.-
Mi alzo, stanco, stremato. -Voglio parlare con lei.-
Ed Elias, senza obiettare, esce fuori, parla rapidamente con un poliziotto e in poco Nora è nella mia stessa stanza. La scruto. Ha il viso scarno, sembra stanca, affaticata e quando alza lo sguardo verso il mio, mi accorgo che i suoi occhi traboccano d'acqua. Dice: -Sono viva.-
Un groppo mi ostruisce la gola, mi sento impotente, nonostante abbia preso il sicario, pure se morto, nonostante abbia messo fine alla sua follia, alla sua abilità di fare a pezzi la gente. Alla sua euforia.
-Sei viva.-
Lei si avvicina ed io, invece, resto fermo, i piedi sono inchiodati al pavimento, non rispondono ai miei comandi.
-E sono salva.- E' così che traboccano i suoi occhi, che l'acqua scivola lungo il viso scarno, stanco, affaticato, è così che le guance si inumidiscono, è così che si salificano, è così che lei si spezza, senza muovere un muscolo, senza digrignare i denti o storcere la bocca, senza alzare le sopracciglia, senza piegarsi, inclinarsi. Lei si spezza senza far rumore. Piange senza lamento. La sua espressione è marmorea, il suo volto è statuario. Quanto dolore bisogna sopportare prima di restarne paralizzati, prima di non avere più controllo del proprio corpo?
-Sì, sei salva.-
Lei piomba su di me, mi cinge il collo con le sue braccia minute e mi sussurra "grazie", e mentre lo fa stringe. Io accomodo le mie mani sulla sua schiena, serrando le labbra.
-Mi dispiace di averti messa in pericolo. Di averti lasciata con il tuo assassino. Avresti potuto morire in qualsiasi momento.-
Avverto il suo alito leggero lambirmi l'orecchio.
-Ma non è accaduto. Perchè io sono viva.- dice -Perchè io sono salva.-

Non posso fare a meno di sfogliare i casi del sicario che non sono mai stati archiviati. Ora che conosco la faccia di chi ha impugnato la pistola, la mannaia, il pugnale, la siringa, la corda, il bisturi, la cintura, il veleno, ora che so, voglio associare la glaciale furia a quella stessa faccia.
Elias entra nella stanza in cui mi sono rifugiato per solitudine.
-Akesson, c'è anche questo.- alzo lo sguardo e vedo che mi porge la cartella con il caso che mi mancava, quello di Desiree Holmgren, la ragazza uccisa con la perfezione chirurgica, con un unico taglio, netto, alla gola. Nyman l'aveva uccisa senza sporcare nulla, senza macchiarne nemmeno i vestiti che indossava.
Sorrido affabile. -Grazie.-
-Dovresti andare a casa. Dovresti riposare. Non lo fai da un po'.-
-Sì. Il tempo di dare un'occhiata veloce a questa e vado.-
Elias sfila la porta lasciandomi solo, io apro la cartella e la prima cosa che spunta fuori è la foto del collo reciso di Desiree. In base alla profondità del taglio e alla precisione e pulizia con cui era stato operato era chiaro che il sicario l'avesse sgozzata mentre era di fronte a lei, e non alle sue spalle. Individuo perfettamente la linea di inizio a sinistra della gola, proprio vicino l'orecchio destro della vittima. Era un professionista, non posso negarlo, risulterei ipocrita. Così, nel silenzio della stanza, illuminato solo dalla lampada al mio fianco mi viene spontaneo battere i palmi delle mani. E applaudire.

Guardo l'orologio, prima di entrare in casa. Sono le tre di notte e sta iniziando a nevicare. E la neve fresca avrà cominciato a nascondere il sangue che aveva macchiato la vecchia, il sangue di Nyman. Mi stringo nel cappotto con il vento gelido che attacca ogni piccola porzione di pelle rimasta scoperta. Infilo rapido la chiave nella serratura ed entro sbattendo la porta.
Non accendo la luce, perchè l'odore mi spaventa. Mi entra furioso nelle narici, mi picchia il cervello.
Fumo.
Fumo di sigaretta.
Alle mie spalle una pistola viene caricata, qualcuno ha tirato il cane pronto a sparare, qualcuno mi punta la canna contro.
E di colpo tutti i tasselli tornano al loro posto, di colpo capisco il gioco malato in cui siamo precipitati. Ignoro il perchè, ignoro il motivo.
-Credevo di aver preso il sicario, di averlo ucciso. Forse ho sottovalutato le tue capacità, ho sopravvalutato le mie.-
Sento la sigaretta bruciare all'estremità, mentre il sicario con una mano fuma e con l'altra può uccidermi. E sento il suo sospiro mentre butta fuori la nube.
-Credevo che fosse finita.- dico.
Ride, ride di gusto. E la sua risata copre le pulsazioni delle vene nelle tempie.
Non mi sorprendo quando ascolto la sua voce. Non più. Ma è fredda, decisa, robotica, apatica. Fa quasi paura, fa quasi tenerezza.
E scandisce bene ogni parola, come sentenza.
-Decido io quando è finita.-

Il sicario svedeseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora